di Enrico Morando
Perché la Legge di bilancio della Lega e del Movimento 5 Stelle è dannosa per l’economia italiana? Perché ingenti risorse pubbliche per disoccupati e pensionati non producono un aumento del PIL? Perché gli italiani pagheranno due volte questa legge di bilancio?
Per rispondere correttamente, bisogna partire un po’ da lontano.
La legge di bilancio e l’andamento dell’economia
C’è un rapporto tra la politica fiscale – la legge di bilancio – e l’andamento dell’economia.
Semplificando un po’, questo rapporto può essere così descritto: la politica di bilancio può, assumendo carattere espansivo (riduzione di entrate o aumento di spesa), far crescere il Pil più di quanto crescerebbe se queste scelte di politica fiscale non venissero messe in atto.
Naturalmente, è vero anche il contrario: la politica restrittiva di bilancio (maggiori entrate e minore spesa) può far crescere il Pil meno di quanto crescerebbe in assenza della politica fiscale stessa.
Di quanto un certo aumento di spesa pubblica (o riduzione di entrate) può far crescere il Prodotto? È il tema del calcolo dei moltiplicatori: se spendo in deficit un punto di Pil in più, di quanto aumenta il Pil stesso? Se aumenta di uno, il moltiplicatore è uno. Se aumenta di 0,5, il moltiplicatore è dimezzato…. Ovviamente , si chiama calcolo del moltiplicatore anche quello che misura di quanto si riduce il Pil, se riduco la spesa o aumento le tasse… Il calcolo dei moltiplicatori è controverso. Si tratta di un tema su cui si accendono accanite dispute tra centri di analisi e singoli ricercatori.
Proviamo a calcolare i moltiplicatori
Qui possiamo limitarci a ciò che abbiamo appurato durante la Grande Recessione: grazie in particolare a Olivier Blanchard (ex capo economista del FMI), si è scoperto che i moltiplicatori della politica fiscale restrittiva in fase di stagnazione e recessione (Grecia) sono molto elevati. Molto più di quanto si credesse prima.
Viene inoltre sostenuto dai più che in economie con seri problemi di produttività ed elevata pressione fiscale (Italia), il moltiplicatore di politiche fiscali espansive – nel medio periodo – sia più elevato se l’espansione consiste in una riduzione ben calibrata di tasse, piuttosto che in un aumento di spesa corrente.
È infine universalmente accettato che il moltiplicatore della spesa pubblica per investimenti – quando questi ultimi sono ben finalizzati verso l’infrastrutturazione materiale e immateriale del Paese o verso la ricerca e il progresso tecnologico – è (sempre nel medio periodo) più elevato di quello della spesa corrente.
C’è anche un’altra ragione che fa preferire la spesa in conto capitale rispetto a quella corrente: quest’ultima, quando l’economia cresce bene, facendo venir meno l’esigenza di una politica fiscale molto espansiva, è difficile da far rientrare rapidamente. Quella per investimenti è più facilmente modulabile nel tempo, in funzione anticiclica.
Più deficit ma senza crescita
Chi ha avuto la pazienza di seguirmi fin qui, ora ha la risposta:
1- La manovra spende di più in deficit, quindi ha un effetto espansivo. Almeno nel breve periodo. Ma la stretta finanziaria causata dallo stabile aumento dello spread, con conseguente crollo del valore dei titoli di Stato già in circolazione e aumento dei tassi di interesse su quelli di nuova emissione, più che compensa questo effetto positivo. È stato proprio Olivier Blanchard – assieme a Jeromin Zettelmeyer – ad esaminare questo effetto della manovra italiana 2019 nei due opposti sensi e a concludere che quello negativo tende a prevalere. Se le cose stessero così, il moltiplicatore totale della legge di bilancio sarebbe addirittura negativo.
2- Purtroppo, c’è di più: nella NADEF il governo associa alla propria manovra un rilevante effetto positivo sulla crescita. Per via della sua composizione, più rilevante nel breve (2019) che nel medio periodo. Anche volendo essere più generosi di Blanchard, questo è impossibile. Lo ha dimostrato l’Ufficio Parlamentare del Bilancio (un organo particolarmente importante, perché inserito ufficialmente nella procedura della decisione di bilancio europea) nella sua analisi della NADEF e della Legge di Bilancio. Quindi, se la manovra non cambierà, l’indebitamento netto e il saldo strutturale peggioreranno addirittura più di quanto il Governo stesso non preveda, a causa di una crescita del PIL ben al di sotto dell’1,5 %.
Col risultato che – invece di avvicinarci, anche se a passi piccolissimi, come abbiamo fatto dal 2014 – ci allontaneremo dai due vincoli che contano davvero: il rispetto della regola della spesa e di quella del debito. La fiducia nell’Italia potrebbe crollare, fino ad innescare una nuova stagnazione-recessione. E questa volta sarebbe tutta farina del nostro sacco, poiché sarebbe la politica italiana a determinarla.
Una legge di bilancio dannosa
Ecco perché questa Legge di bilancio è gravemente dannosa per l’economia italiana: dei due principali problemi strutturali del Paese – la produttività che non cresce o cresce troppo poco e il debito pubblico troppo alto -, il primo non viene neppure sfiorato e il secondo viene deliberatamente aggravato.
L’Italia si prepara così a fuoriuscire – con tanto di annuncio trionfante dal balcone di palazzo Chigi – da una condizione favorevole in cui si trovava da tre anni: il tasso nominale di crescita del Prodotto (la somma di crescita reale e inflazione), era superiore al tasso di interesse medio pagato sul debito.
Una situazione che rassicura tutti (risparmiatori, investitori, partners dell’Euroarea), perché garantisce che il debito sarà onorato, anche senza far ricorso ad avanzi primari di bilancio talmente forti da risultare politicamente insostenibili.
Con la legge di bilancio gialloverde torniamo là dove siamo stati quasi sempre, da quando abbiamo un debito pubblico sopra il 100% del Prodotto (primi anni ’90): tasso di crescita nominale più basso del tasso di interesse sul debito. Il tasso d’interesse sui BTP decennali, il 18 Ottobre scorso, è salito al 3,73. Esattamente il doppio del livello raggiunto il giorno prima della pubblicazione su Huffington Post della prima bozza del Contratto Lega-M5S.
Così gli italiani pagheranno due volte
Questo spiega perché è del tutto legittima la previsione secondo la quale gli italiani tutti – ma soprattutto quelli tra loro che hanno redditi medio bassi e un patrimonio limitato alla casa dove abitano -, il conto di questa manovra lo pagheranno due volte.
La prima, con una crescita ( e un numero di occupati) minore di quella che potremmo avere recuperando stabilità di finanza pubblica e rilanciando la strategia delle riforme.
La seconda, perché quando riprenderemo la strada giusta la montagna del debito pubblico da scalare sarà più alta. E ci imporrà avanzi primari ( in poche parole: più tasse e meno prestazioni pubbliche), molto elevati.
Oggi – ma non il 3 marzo scorso – sappiamo che in questi tre ultimi anni il rapporto debito/PIL aveva cominciato a scendere (dal 131,8 del 2014 al 131,2 del 2017). Mentre calava la pressione fiscale, passata dal 43,6 % del PIL nel 2013 al 42,2 % del PIL nel 2017.
Vale forse la pena di far notare che è facile ottenere separatamente uno di questi due risultati: alzo le tasse e utilizzo il maggior gettito per ridurre il debito. Oppure, abbasso le tasse in deficit, così aumentando il volume globale del debito. Molti governi italiani, infatti, hanno realizzato performance di questo tipo. Mentre è difficilissimo conseguirli entrambi, contemporaneamente. Se non altro, abbiamo dimostrato che non è impossibile.
Con questa manovra aumenta la pressione fiscale e cresce il debito
Il governo gialloverde – con la legge di bilancio 2019 – riesce ad ottenere i due risultati negativi contemporaneamente: aumenta la pressione fiscale (dal 41,9 del 2018 al 42,2 del 2019) e – come abbiamo appena visto – torna a far crescere il debito.
Con una aggravante (se è possibile…): la manovra Lega-M5S comporta maggiori entrate nette nel 2019 per 7,4 miliardi, cui sono associate maggiori spese nette per 16,8 miliardi, che crescono fino a 24,8 nel 2020. Per il reddito di impresa e di lavoro autonomo si programma un aumento del carico tributario pari a ben 6,1 miliardi nel 2019. Ma, quanto alle maggiori spese, quelle sono quasi tutte destinate a mandare in pensione prima di quanto previsto dalla legislazione vigente e al reddito di cittadinanza.
Più tasse sui produttori, più spesa corrente: c’è da stupirsi se l’effetto finale è recessivo?
Presidente di Libertà Eguale. Viceministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni. Senatore dal 1994 al 2013, è stato leader della componente Liberal dei Ds, estensore del programma elettorale del Pd nel 2008 e coordinatore del Governo ombra. Ha scritto con Giorgio Tonini “L’Italia dei democratici”, edito da Marsilio (2013)