di Alfonso Pascale
Fu Tommaso Padoa Schioppa il primo a mettere nero su bianco per dire come stavano le cose: c’era un eccesso di spesa agricola nel bilancio comunitario e c’erano problemi di equità in tale spesa.
Scrisse, infatti, in “Efficienza, stabilità ed equità” (Il Mulino 1987): “Il bilancio della Comunità deve subire profonde riforme (…) Alcune importanti funzioni vanno rafforzate; tra queste il finanziamento della ricerca e dello sviluppo nel campo industriale e l’assistenza al processo di convergenza e riconversione delle regioni arretrate e in declino industriale. Inoltre, occorrerà pervenire a un più fermo controllo della spesa agricola e alla soluzione di problemi di equità. L’insuccesso nel controllo della spesa agricola, oltre che essere implicitamente costoso, ha comportato problemi di ‘nanismo’ in diverse altre politiche (cioè impegni di spesa troppo modesti per avere un impatto significativo), e controversie inerenti ai costi finanziari e alla politica commerciale”.
Padoa Schioppa era stato direttore generale per l’Economia e la Finanza della Commissione europea e vice direttore generale della Banca d’Italia e si apprestava a far parte del Comitato Delors che ha redatto il progetto di Unione economica e monetaria che porterà in dieci anni alla nascita dell’euro. Pertanto, conosceva bene i fatti di cui parlava.
Cosa voleva dire Padoa Schioppa? Voleva dire che già allora era evidente un grande bluff.
Negli anni ’60 e ’70, la politica agricola comune aveva una funzione allocativa volta a promuovere l’efficienza e la produzione. Tant’è che nella Cee, in meno di quindici anni, non dipendevamo più dalle importazioni di materie prime per gran parte dei prodotti agricoli, ma addirittura producevamo enormi eccedenze.
A quel punto, dovendo contenere i quantitativi prodotti, furono varati diversi meccanismi per sottoporre la spesa agricola alla disciplina di bilancio. E così la politica agricola comune diventò redistributiva a favore di un gruppo di cittadini: gli agricoltori.
Ma la competenza a redistribuire risorse ai cittadini è stata sempre, storicamente, degli Stati nazionali. A nessuno verrebbe mai in mente di chiedere alle istituzioni europee di erogare il reddito di cittadinanza o misure simili.
Per giustificare siffatta eccezione a favore degli agricoltori, i sostegni agricoli si sono fatti passare per interventi propri delle politiche di mercato. Mentre altro non era che spesa sociale. Ed essendo spesa sociale, anche se fosse stata erogata dai singoli paesi membri con criteri non omogenei, non avrebbe inquinato il mercato unico.
Insomma, Padoa Schioppa già nel 1987 raccomandava di svelare il bluff. Volete sostenere i redditi di una particolare categoria di cittadini europei per le ragioni più svariate? Benissimo. Che lo facciano gli Stati nazionali, con le proprie risorse, con le proprie priorità e criteri selettivi e ne rispondano davanti alle proprie opinioni pubbliche.
Quello che deve rimanere di competenza della Cee (e ora dell’Ue) sono i pezzi di politica agricola che nessuno Stato membro, da solo, è in grado di fare (sicurezza alimentare, scambi internazionali dei prodotti agricoli, progetti strategici di ricerca e sviluppo).
Siamo nel 2024. E la politica agricola, con il Trattato di Lisbona, è diventata una competenza unionale concorrente. Continuiamo a chiamarla impropriamente “politica comune”. Ma non esiste più una politica agricola comune. Esistono, invece, 27 politiche agricole nazionali. E si pretende che queste continuino ad essere finanziate da Bruxelles. Ieri con la scusa del mercato unico, oggi con quella della transizione ecologica. Ma sono tutte balle!
L’esito del bluff è sotto gli occhi di tutti: un mare di burocrazia che fa imbestialire gli agricoltori, piccole e grandi ingiustizie che non si riescono ad eliminare, una rigidità normativa che non permette di correggere l’intervento man mano che i problemi si verificano.
Gli agricoltori hanno tutte le ragioni per essere arrabbiati. Sono da trent’anni e più che vengono presi in giro e non sanno più con chi prendersela.
Quello che spaventa, però, è una cosa sola. Tranne qualche rara eccezione, non ci sono giornalisti e osservatori di cose agricole capaci di spiegare all’opinione pubblica come stanno i fatti. Nessuno vuole fare la fatica di studiare la storia della Pac e di parlare direttamente con gli agricoltori.
Presidente del CeSLAM (Centro Sviluppo Locale in Ambiti Metropolitani). Dopo una lunga esperienza di direzione nelle organizzazioni di rappresentanza dell’agricoltura, nel 2005 ha promosso l’associazione “Rete Fattorie Sociali” di cui è stato presidente fino al 2011. Docente del Master in Agricoltura Sociale presso l’Università di Roma Tor Vergata, si occupa di sviluppo locale e innovazione sociale. Collabora con istituzioni di ricerca socioeconomica e di formazione e con riviste specializzate. Ultima pubblicazione: CYBER PROPAGANDA. Ovvero la promozione nell’era dei social (Edizioni Olio Officina, 2019).