“Agli artieri, ai piccoli industriali e mercadanti usciti pieni di desiderii e di delusioni dalla rivoluzione del 1848, in un periodo di cupa e vergognosa reazione, ei volge consigli che suscitano speranze nuove; egli invita i miseri solitari e abbandonati a scendere nelle intime latebre delle loro coscienze, ove sonnecchia incerto e ignorato lo spirito della previdenza, li persuade della ricchezza latente, celata nel loro animo, e fa balenare la speranza di giorni più sereni, dei quali non sarebbero debitori né al Governo, né alla pietà privata, ma alla libera associazione delle loro volontà”.
Sono le parole usate da Luigi Luzzatti, del quale a fine mese si ricorderà il 90° della scomparsa, per riaffermare la matrice tedesca – pensata da Hermann Schulze-Delitzsch – della formula cooperativa italiana che egli applicò con successo nel nostro Paese fondando il credito popolare all’inizio della seconda metà dell’800. Ciò che colpisce di queste poche righe è la centralità della persona aperta alla molteplicità delle relazioni economiche e l’assenza a qualunque accenno propedeutico ad architetture fredde e astratte. L’idea della cooperazione sin dai primi inizi parte sempre dai bisogni elementari, da quei bisogni generati dalle più semplici relazioni fra i soggetti impegnati quotidianamente allo sviluppo dell’economia reale.
Ieri, come risposta alla rivoluzione industriale e all’urbanizzazione che decollava e oggi, in un mondo post-moderno che fatica in una percezione solo individualistica della persona a trovare una soluzione, come risposta al crescente disagio sociale e a una stentata e asfittica economia, globale solo per dimensione ma fragile nel suo DNA come se fosse affetta da una malattia autoimmune.
Il livello di benessere acquisito a partire dal secondo dopoguerra del secolo scorso è notevolmente superiore a quello del periodo al quale risale la nascita dell’idea di cooperazione, ma è anche vero che lo stato dell’economia e della politica, non solo in Italia, ma anche nel resto d’Europa – il cui processo di integrazione è sempre più seriamente messo in discussione – continua ad essere molto critico e bisognoso di una forte iniezione di fiducia e di speranza.
Così come le forze più attive del tessuto economico, le potenzialità di crescita, le speranze per il futuro risiedono, oggi come allora, e ancor più nella situazione di crisi nella quale ci troviamo, nella piccola e media imprenditoria, nelle comunità locali dei centri produttivi ed agricoli, nella “libera associazione delle loro volontà”, che furono l’oggetto principale dell’idea di cooperazione di Luzzatti, come risulta anche dai temi trattati in centinaia di scritti, interventi e studi prodotti nell’arco di circa 70 anni a cavallo tra ‘800 e ‘900, senza essere mai meccanicistico nei confronti degli strumenti e delle architetture giuridiche o istituzionali applicate alla soluzione dei problemi dell’economia in generale e dell’economia reale in particolare.
Tanto che, riguardo al percorso normativo che ha segnato la nascita dell’idea di cooperazione bancaria in ogni angolo del mondo, faceva scrivere al prof. Gobbi – rettore della Bocconi di Milano negli anni trenta – che: “potrà apparire che vi sia qualche contraddizione fra le considerazioni sul tipo ideale a cui mira il movimento cooperativo e quelle sulle norme di legge per disciplinarlo. Ma altro è ricavare dallo studio dei fatti una teoria, altro è voler costringere i fatti entro lo stampo della teoria costruita sull’astrazione.
La teoria deve essere uno strumento di studio, non un padrone obbedendo al quale ci sentiamo liberati dalla responsabilità della nostra condotta”. Ed oggi è proprio questa dinamica e sistematica tecnicistica che ha reso prigioniere politica ed economia rendendo superflua qualunque specificazione e dimostrazione nel campo del reale.
Segretario Generale dell’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari