di Mauro Zampini*
Ci è voluto l’appello di Sergio Mattarella alle forze politiche, a trovare qualche forma di unità repubblicana, di armistizio, di dialogo tra” nemici” (così è ridotta la politica italiana, così si sta riducendo altrove), perché le parole di tutti si orientassero, per una volta, verso una sospensione delle ininterrotte ostilità. La disponibilità della maggioranza e del governo c’è (se ci sono populisti al governo, la convenienza prevale sull’attitudine); ma un appello siffatto è naturalmente rivolto alle opposizioni.
I governi non possono che rallegrarsi se si allarga momentaneamente la base di consenso, e sembra di respirare un po’ meglio.
Le opposizioni (in questo momento il variegato emisfero di centro destra) l’appello sembrano averlo raccolto, con qualche voto alle camere, seppure a singhiozzo, per non dare certezze; con alcune parole.
Chi ha l’età giusta, ricorderà le forze politiche, praticamente tutte, impegnate assieme contro il terrorismo, brigatista e nero: quasi un bipolarismo del terrore. Superato con qualche tentennamento l’istinto dell’ideologia, l’intero paese fu condotto con fermezza fuori da un tunnel che pareva cieco. Con sacrifici estremi, a partire da quello tremendo di Aldo Moro. Bersagli istituzionali, quelli dei brigatisti; stragi di inermi, quelle nere. Non vi furono speculazioni, strumentalizzazioni, colpi bassi, condizioni. E nemmeno di appelli del capo dello Stato ci fu bisogno.
Terrorismo e coronavirus sono due nemici non comparabili, non foss’altro per il diverso grado di conoscenza che si ha dell’uno e dell’altro. Il primo è un nemico naturale delle democrazie, la forma estrema, extraistituzionale di opposizione; il secondo è un inquietante, invisibile mistero che uccide.
Differenze, tra la solidarietà di allora, e quella, ancora virtuale, di oggi? Al momento si nota quella solita, che tiene lontane le democrazie classiche e le sedicenti democrazie populistiche. Nelle prime, su una comune visione dello Stato si accende e sviluppa un’ accesa dialettica di idee e di programmi; il populismo, i populismi si nutrono del rigetto del nemico. Ci si divide su come guidare il paese, nelle prime; nelle seconde, si segmenta il paese, e si fiutano gli umori di uno o dell’altro segmento, facendo del prescelto il proprio popolo, del residuo il nemico. Si frantuma il concetto di popolo: sovrano è solo il proprio spicchio di popolo.
Se l’idea di popolo è unitaria, e a divergere sono le ricette di governo, la solidarietà della politica nelle emergenze si sviluppa da sé, per difendere la casa comune; se ognuno ha un proprio popolo da seguire, anche sulle catastrofi si può scorgere il sentiero che porta al consenso.
Poi, come in questo caso, le parole sono di unità: ma dietro la schiena balugina il coltello della battaglia politica, e scompare il confronto delle politiche. Ogni parola giusta è seguita da mozziconi di segnali che rassicurano che lo scontro è appena sospeso , “i conti si faranno dopo”, “non è questo il momento per dividersi”: che è il contrario della unità nella diversità che è la base delle democrazie.
Nelle emergenze, soprattutto in quelle terribili come questa, non si pongono condizioni, non si fanno minacce.
* Di ruolo alla Camera dal luglio 1969. È stato segretario delle Commissioni Difesa, Interni e Affari costituzionali. Segretario generale dal 1994 al 1999. Nominato prefetto di prima classe dal Consiglio dei ministri nel novembre 1999, assume l’incarico di Presidente del Comitato tecnico scientifico per il controllo e la valutazione strategica nelle amministrazioni dello Stato. Dal 2007 al 2015, Consigliere di Stato di nomina governativa. Collabora su temi istituzionali e di amministrazione pubblica coi il Sole 24 ore, Adige e Alto Adige.