di Stefano Ceccanti
Per fortuna il Fatto Quotidiano è rimasto da solo, smentito duramente anche da Repubblica, nella campagna illiberale per l’emendamento sulla prescrizione che, eliminandola dopo il primo grado, non metterebbe più termini alla durata dei processi e che, quindi, non può essere compatibile con una Costituzione dove si sancisce la “durata ragionevole” dei processi.
La durata si può modulare, ma se il termine non c’è, non c’è ragionevolezza.
Appendo quindi come una medaglia l’attacco di Peter Gomez (che potete leggere qui).
Tuttavia il suo pezzo è contraddittorio, anche a partire dalla sua tesi. Se infatti il problema è il processo come congegnato dal codice bisognerebbe intervenire a monte sul processo e non valle sulla prescrizione.
Ma ancor di più: bisognerebbe intervenire in un provvedimento di modifica del codice e non a casaccio nella prima legge che capita e parla d’altro.
Qui infatti la forzatura del ministro Bonafede è prima di metodo che di merito: quell’emendamento, se i Presidenti di Commissione sono seri, è inammissibile.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.