LibertàEguale

Primarie aperte, fondamento di un centrosinistra di governo

di Stefano Ceccanti

Quattro punti per riflettere sul Pd e la democrazia italiana

 

La situazione del Pd non è allegra e bisogna diffidare di ricette miracolistiche. Possiamo però almeno fissare quattro punti.

Il primo è dato dalla positiva correzione di rotta avvenuta con ampio consenso nei giorni scorsi. Non si possono fare bene due cose insieme. Nel momento in cui un segretario si dimette, e dice che non si ripresenterà, manca un elemento chiave in cui le persone possano riconoscersi. Per questo va data priorità alla scelta di un nuovo segretario con un Congresso. L’altra scelta, quella di aprire una fase costituente, pur sensata perché di semplice manutenzione non si vive, va rinviata, per quanto riguarda le decisioni, ad una fase ulteriore.

Il secondo punto da chiarire è che non si tratta di abiurare alla “fede” democratica (magari riscoprendo fedi precedenti) ma di rivedere profondamente “la religione” in cui quella fede si è strutturata. Del periodo precedente restano spesso, appunto, religioni senza fede, pezzi di organizzazioni e di retoriche di chi non aveva creduto davvero alla nuova identità democratica, ma l’aveva accettata solo come necessità. Da qui spesso il ricorso regressivo al solo termine “sinistra” al posto di “centrosinistra” (o del suo equivalente “sinistra di governo”) o di “socialista” in luogo di “democratico”: il Pd segna infatti la speculare rottura dell’unità ideologica della sinistra da un lato (incompatibile nel suo insieme con una prospettiva di governo) e dell’unità politico-elettorale dei cattolici dall’altra, rottura che si è potuta realizzare col termine più comprensivo di ‘democratico’.

Sotto questo profilo, terzo punto, è stato benefico il convegno dell’associazione “I Popolari” perché non ha riproposto identità precedenti al Pd, ma perché ha invece richiamato le coordinate della nuova fede democratica incubata prima nell’Ulivo e poi realizzata nel Pd. Questo punto è stato sviluppato in modo particolare nelle relazioni dei professori Castelli e Nicoletti. Castelli ha ricordato che l’unione personale tra leader di partito e di governo, che ha portato con sé da noi la scelta qualificante delle primarie aperte, è la caratteristica di fondo delle democrazie parlamentari perché esprime il legame tra consenso, potere e responsabilità.  Curiosamente in questi giorni, mentre il destra-centro è tornato al Governo con una legittimazione diretta della propria coalizione e della leader del primo partito, c’è chi sostiene che questa visione andrebbe abbandonata perché il sistema è diventato più complesso e frammentato rispetto al 2007. Ora quasi tutti i sistemi europei hanno subito questo processo: l’unico Paese sul Continente in cui i Governi erano monopartitici, la Spagna, vede ormai coalizioni a due (al Psoe si è affiancato Podemos a sinistra; al Pp Vox a destra) e in Germania i Governi si fanno ormai a tre e non più a due. Eppure in nessuno di questi casi i partiti sfidati nel proprio ruolo di vocazione maggioritaria hanno rinunciato prima del voto a indicare un leader per la guida del Governo, come accaduto con Sanchez e con Scholz, insidiati dai leader di Podemos e dei Verdi. Per inciso il Psoe, per difendersi dalla concorrenza di Podemos puntando sull’elettorato di opinione, ha anche copiato da noi le primarie aperte agli elettori nel proprio Statuto. Contestare l’idea di proporre al Paese il proprio leader per il Governo prima del voto ha due sole alternative, nessuna delle quali auspicabile: ritenere ormai inevitabile che il Pd non possa essere più il primo partito nel campo alternativo al destra-centro e delegare quindi la leadership a Giuseppe Conte; puntare ancora su Governi tecnici di derivazione presidenziale e non sulla legittimazione popolare degli esecutivi. Rilevante su questo anche la relazione Nicoletti che ha richiamato la permanente validità, al di là delle soluzioni tecniche, della riflessione di Roberto Ruffilli secondo cui il cittadino debba sempre essere arbitro della scelta dei Governi. Ben difficilmente il Pd e il centrosinistra potrebbero essere credibili se di fronte alla proposta presidenzialista del destra-centro pensassero di difendere uno status quo che fa acqua da tutte le parti, come dimostrato in questi giorni dal riaffermato monocameralismo di fatto sulla legge di bilancio.

Per questo, quarto e ultimo punto riassuntivo, il criterio prioritario con cui scegliere nel Congresso Pd è quello di privilegiare il candidato che meglio di altri dia una prospettiva reale di Governo, una scelta estroversa, rispetto al Paese, coerente con le primarie aperte. Ne discuteremo a Orvieto, allargando al riflessione a tutto il centrosinistra, il 14 e 15 gennaio all’incontro dell’Associazione Libertà Eguale, anche a partire dalle riflessioni del documento www.laburisti.it.

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