di Giovanni Cominelli
La transizione dal virus a no-virus è solo incominciata. Sarà lunga, dolorosa, difficile. Meglio non farsi illusioni: il dott. Covid-19 non ha affatto guarito la natura umana dai suoi acciacchi, non ci consegna un Paese migliore. Se ha un merito, è quello di offrire una radiografia spietata del Paese reale. Il quale, dal virus, esce peggiore di prima.
Le due transizioni
Si aprono, dunque, due piste di transizione: una sanitaria e una economico-sociale. Sulle tappe di quella sanitaria, la parola ai competenti. Il passaggio dal “modello confinamento” al “modello tracciamento individuale” – sulla scia della Corea e di Taiwan – richiede investimenti, capacità di innovazione tecnologica, intermediazione burocratica minima, nuova legiferazione sulla privacy, così che la difesa delle libertà individuali non pregiudichi il diritto alla vita di chi ci avvicina. Proprio l’urgenza economico-sociale rende urgentissima la soluzione della questione sanitaria.
Quanto alla transizione economico-sociale, si aprono scenari drammatici. Il virus lascia il Paese più povero di prima, più in declino di prima, (-9%di PIL l’anno prossimo), con un numero maggiore di disoccupati di prima, più diseguale di prima, con una giungla retributiva sempre più intricata, clamorosamente ingiusta e pertanto non più sopportabile, con più evasori fiscali di prima, ora invitati da Salvini a coprirsi con l’alibi dell’emergenza – c’é chi denuncia il mancato incasso di 5 mila euro alla settimana, avendo denunciato nel 2018 un reddito annuo di 20 mila euro – con una questione meridionale aggravata, con tensioni sociali crescenti, con grumi di violenza pronti a esplodere nei quartieri più poveri delle città. Le risposte non toccano ai Comitati e alle Task force, toccano alla politica.
La politica e la dittatura del presente
Si discute da un paio di mesi sulla gestione che il Governo Conte, che i Governatori regionali, che i partiti hanno condotto dell’epidemia. Il Conte giallo-verde avrebbe fatto meglio del Conte giallo-rosso? Il fatto è che l’Italia e tutti i Paesi sono stati largamente colti di sorpresa dall’irrompere dell’epidemia. Sorpresa colpevole, si intende, se scienziati, manager, grandi capitalisti, tra cui Bill Gates, politici, tra cui Obama, giornalisti – è un classico “Spillover” di Quammen – avevano messo in guardia, a partire dal 2000, dall’inevitabile ripetersi di pandemie zoonotiche. La politica ha un difetto genetico: si basa sulla dittatura del presente. Più la trasformazione del mondo si è fatta veloce, più il futuro irrompe nel presente, più la politica si abbarbica a quest’ultimo.
Il nuovo Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha parlato, non a torto, di una “classe politica smarrita”, benché, occorra osservare, non minore smarrimento in questi mesi abbia mostrato l’intera classe dirigente del Paese. Se la sorpresa è un fatto, lo è anche che la gestione governativa quotidiana di tale potente sorpresa è stata ondivaga, confusionaria, dominata da interessi immediati di sopravvivenza politica personale e di partito. Quanti morti abbiano causato il rimpallo delle responsabilità tra i livelli politico-istituzionali, la pluralità anarchica dei singoli sistemi sanitari regionali, l’andirivieni dei Decreti è già noto a milioni di cittadini lombardi, prima ancora che le statistiche sanitarie e le inchieste della magistratura formalizzino i numeri e le responsabilità. Hanno già cominciato a chiedere il conto.
La sorpresa della solidarietà e la conferma della sfiducia verso la politica
Tanto che, in vista della ricostruzione della politica nazionale, converrà, per incominciare bene, muovere dai sentimenti, dalle emozioni, dai dolori, dalle paure che la gestione tecnico-politica dell’epidemia ha generato in migliaia di famiglie. Che il Covid-19 abbia fatto emergere sentimenti di solidarietà e comportamenti oblativi fino al sacrificio di sé è una sempre felice riscoperta, ma non ci si dovrebbe fare nessuna illusione. La tragedia in corso non ha cancellato la sostanziale sfiducia che i cittadini nutrono verso la politica, considerata inattendibile, furbesca, inefficiente, incompetente, artificiosamente litigiosa. Cioè: il virus non ha eroso sostanzialmente le basi del populismo. Le inchieste in corso della magistratura, del tutto dovute, finiranno per alimentare quella sfiducia, aggiungendovi “una voglia di Norimberga”. Non stupisce, pertanto, che il consenso alle forze populiste rimanga molto alto, nonostante che il livello di gradimento verso il governo Conte abbia di gran lunga superato il 50%.
La prima conclusione che si è costretti a trarre è che, quale che sia il giudizio sul governo della cosiddetta Fase 1 dell’epidemia, il governo giallo-rosso non appare in grado di gestire la Fase 2, perché gli scenari sanitari ed economico-sociali si presentano straordinariamente oscuri, impegnativi, drammatici. Si apre, in realtà, al cospetto del coronavirus, una terza e decisiva transizione: quella ad un nuovo sistema politico, istituzionale, amministrativo. Quello che abbiamo tra le mani ha dimostrato di aver funzionato male nella gestione dell’emergenza e rischia di essere travolto dalla transizione sanitaria e socio-economica. D’altronde, il tempo del dopo-traumi è il più adatto ai grandi cambiamenti.
Se lo Stato amministrativo-burocratico è oggi riconosciuto da tutti quanti come un’enorme Torre di Babele, si deve solo impietosamente far notare che essa è stata costruita lungo i decenni dal Parlamento e da tutti i partiti, mediante leggi, decreti legislativi, decreti attuativi, regolamenti, circolari, allo scopo di blindare gli addetti rispetto alle domande dei cittadini utenti e di consentire alla politica di scansare le proprie responsabilità, scaricandole eventualmente su un corpo burocratico strutturalmente irresponsabile. Grazie a questa filosofia, il Governatore della Regione Lombardia può permettersi di attribuire ai tecnici la responsabilità di una Delibera di Giunta che invita ad aprire le Residenze Sanitarie Assistenziali agli infetti da coronavirus. Il risultato? Una strage di massa di anziani e di personale di assistenza. Responsabili? Nessuno!
Urgente una riforma costituzionale e istituzionale
Se il sistema politico uscito dalla Seconda guerra mondiale è in perenne “ammuina”, in nevrotica fibrillazione, in paralisi decisionale, se l’avvicendarsi di pseudo-nuove repubbliche non ha cambiato per l’essenziale i meccanismi e gli strumenti della governance del Paese, questo è il tempo giusto per farlo. La differenza fondamentale tra il nostro Paese e quelli europei, di fronte alla sfida del virus, non è consistita nella loro capacità di previsione – sono stati sorpresi anche più di noi – ma nella capacità di governo politico ed amministrativo del fenomeno.
Torna, dunque, il tempo dei progetti di riforma costituzionale e istituzionale.
Intanto, le fratture emerse nella maggioranza e nell’opposizione confermano che l’attuale assetto politico è sempre più friabile, rendendo il governo vieppiù debole. Il Ministro degli Esteri trascorre il proprio tempo negli aeroporti a salutare l’arrivo di volontari e di mascherine; il Ministro agli affari regionali, Boccia, attizza ogni giorno un focolaio di conflitto con le Regioni e persino con l’Olanda, ignorando che essa è la NE di BENELUX; il Presidente del Consiglio vara un Decreto al giorno, sempre seguito da fatale churchilliana conferenza-stampa. Il personale politico di governo, salvo rare eccezioni, è disperatamente unfit.
L’onda di sfiducia nella politica, che si è gonfiata negli ultimi quindici anni, rischia di abbattersi come uno tsunami su destra e sinistra allo stesso modo, cioè sulla democrazia italiana in perenne indecisione e ingovernabilità. Nessun podestà esterno ci potrà salvare, se dalle forze politiche non viene un’offerta politico-istituzionale-amministrativa nuova al Paese. Né ci si può illudere, populisticamente, che essa insorga spontaneamente da qualche meet-up. La storia insegna che troppo spesso il popolo ha scelto Barabba.
(Pubblicato su www.santalessandro.org il 18 aprile 2020)
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.