LibertàEguale

Reddito di cittadinanza, una risposta a Maria Cecilia Guerra

di Ileana Piazzoni

Che nel Paese si sia aperto un dibattito pubblico sul reddito di cittadinanza è un’ottima cosa.

Che il dibattito si sia aperto su Renzi e il reddito di cittadinanza dà il segno, ancora una volta, di quanto sia fondamentale il ruolo di chi riesce a scuotere la politica.
Oggi tocca alla sottosegretaria Maria Cecilia Guerra intervenire a difesa del reddito di cittadinanza, sostenendo tesi che credo nemmeno il M5S sostenga più.
Cerchiamo di fare chiarezza.
Tra aprile 2019 e marzo 2021 sono stati spesi per il reddito e la pensione di cittadinanza quasi 13 miliardi di euro. Sarebbe davvero clamoroso se, a fronte di questo enorme investimento, non ci fosse stata almeno un’attenuazione dell’intensità della povertà.
È certo che se a una persona o una famiglia vengono dati dei soldi, queste staranno economicamente un pochino meglio.
Ma il punto è che l’obiettivo di consentire a tutti di non vivere in condizioni di indigenza deve essere accompagnato dall’obiettivo di far sì che questo possa accadere perché sono stati dati loro gli strumenti per uscire autonomamente dalla condizione di povertà.
Se questo non avviene, si condannano le persone a vivere dipendendo dal sussidio.
Ma soprattutto, non siamo stati certo noi a propagandare il reddito di cittadinanza come strumento di politiche attive per il lavoro. Noi siamo sempre stati consapevoli che un conto sono le politiche di inclusione sociale, un conto le politiche attive per il lavoro. Tanto che i beneficiari del Rei venivano tutti presi in carico dai servizi sociali, che inviavano poi ai centri per l’impiego solo coloro che valutavano essere nelle condizioni di poter essere collocati. Ma gli altri dovevano essere inseriti in percorsi di aiuto e inclusione (perché affetti da disabilità gravi, dipendenze, assenza di skill minime etc). Il Rdc ha annullato di fatto tutti i percorsi di inclusione sommergendoli con la retorica del ‘troveremo lavoro a tutti’. Producendo un meccanismo di presa in carico così confuso che ormai nessuno può nulla, ne’ i servizi sociali, ne’ i centri per l’impiego.
In quanto ai dati sui beneficiari che hanno sottoscritto un contratto di lavoro, be’ , siamo alla propaganda già ampiamente sconfessata da tantissimi osservatori. È ovvio che, tra tutti coloro che beneficiano del sussidio, ad alcuni capiti di trovare un lavoro, per lo più temporaneo. Ma questo non deriva affatto dal meccanismo del Rdc, ma dalle reti informali di incontro tra domanda e offerta. Cosa che davvero tutti sanno.
Anche perché, come Guerra ricorda, gli obblighi relativi alla ricerca di un impiego (mai partiti realmente) sono stati sospesi anche formalmente causa pandemia.
E certo che sì può essere poveri senza essere pigri. O inattivi. C’è un problema grossissimo di salari bassi soprattutto nelle professioni non qualificate. Ma dopo tutto questo tempo, possiamo evidenziare che il Rdc non ha prodotto alcun effetto di rialzo, come invece era stato propagandato? E che quindi bisogna agire in altro modo?
E infine sui minori. Guerra ci ricorda che tra i beneficiari del rdc ci sono anche i minori. Caspita! E come potremmo scordarcelo dopo esserci sgolati per segnalare lo scempio compiuto con una scala di equivalenza inventata che favorisce i single e penalizza tantissimo le famiglie con minori e soprattutto quelle numerose? Tanto che solo l’introduzione dell’assegno unico e universale riuscirà a intervenire su questa grave stortura.
Ma ancora, quale attenzione viene data ai minori in povertà, se molti dei nuclei beneficiari non incontreranno mai un servizio sociale? Cosa farà sì che quei minori possano essere supportati perché la loro formazione possa essere adeguata a consentire loro di interrompere la tipica trasmissione generazionale della povertà? Tutto questo può essere davvero slegato, per esempio, dai massicci investimenti nella formazione digitale e nelle Stem previsti nel PNRR?
Come si vede, le questioni legate a uno strumento di contrasto alla povertà sono tantissime. E vanno affrontate con urgenza.
Stiamo investendo molti miliardi in una misura inefficace, secondo gli standard non renziani ma dettati dall’Unione Europea.

Il primo passo indispensabile è che si smetta di difendere gli errori clamorosi fatti per ragioni di propaganda e consenso elettorale, e si ridiano ruolo e spazio alla competenza e all’esperienza sul campo.

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