di Natale Forlani
Il sospetto che una buona parte della attuale classe dirigente politica volesse cavalcare l’emergenza sanitaria per allargare le maglie delle politiche clientelari assistenziali trova conferma nelle indiscrezioni che cominciano a fuoriuscire sulla definizione del cosiddetto reddito di emergenza. Che nella mente di molti politici e intellettuali dovrebbe rappresentare l’anello finale di congiunzione delle politiche rivolte a contrastare la povertà.
Le premesse sono roboanti: nessuno deve essere lasciato solo… la crisi provocherà un raddoppio delle povertà… diamo risposte a chi non ha nessun reddito e che magari ha perso anche il lavoro in nero. L’effetto emotivo diventa scontato. Nell’immaginario collettivo vengono visualizzate le persone sole, quelle non autosufficienti, le famiglie in difficoltà, gli anziani ammalati e i bambini che non vanno a scuola. Come del resto esplicitato dagli amministratori locali che chiedono risorse per dare risposte a queste situazioni. Niente di tutto questo. Per risolvere i problemi dobbiamo istituire un reddito di emergenza!
La domanda sorge spontanea. Dato che in Italia è stato introdotto il reddito di cittadinanza per la finalità di offrire un reddito alle famiglie povere, quali potrebbero essere i nuovi poveri, con bassissimi redditi o persino nullatenenti, impossibilitati a beneficiare del reddito di cittadinanza, rendendo necessario quello di emergenza?
Una risposta ragionevole poteva essere: la buona parte delle famiglie immigrate regolarmente residenti in Italia in condizioni di povertà escluse per via dell’introduzione del requisito minimo dei 10 anni di residenza per poter accedere ai benefici. Ma questo tema viene accuratamente trascurato, dato che a suo tempo gli sponsor principale del Rdc, il M5S d’intesa con la Lega, si vantavano di aver introdotto un’ignominia del genere.
La vera risposta la troviamo nelle bozze che cominciano a circolare sul nuovo reddito di emergenza (Rem). In buona sostanza, il Rem diventerebbe un modo per allargare le maglie della erogazione dei sussidi per i beneficiari del Rdc. L’operazione dovrebbe avvenire con l’introduzione di 5 innovazioni normative.
La prima: allargando i requisiti di reddito e patrimoniali Isee, per accedere al reddito di emergenza, dagli attuali 9.360 euro previsti Rdc ai 15.000 euro. Il tutto per ricevere prestazioni che possono oscillare dai 400 euro per i single, fino agli 800 euro sulla base dei carichi familiari, per i prossimi tre mesi.
La seconda: prevedendo che per i beneficiari del Rdc possa essere adeguato l’importo del sussidio qualora inferiore a quello che potrebbe essere calcolato sulla base dei nuovi requisiti del Rem.
La terza: elevando dal prossimo luglio i requisiti di accesso al Rdc anche per le nuove domande fino alla fine del 2020.
La quarta: sospendendo per i prossimi 4 mesi, per tutti i beneficiari del sostegno al reddito, la condizione di dover accettare le proposte di nuovo lavoro.
La quinta: offrendo a tutti i beneficiari dei sussidi la possibilità di accettare volontariamente contratti di lavoro inferiori ai 30 giorni senza rinunciare ai sussidi.
Non sappiamo ancora quante risorse saranno destinate a questi interventi, ma il vero problema non è il costo delle prestazioni nei prossimi mesi, che pure avranno il loro peso, ma sopratutto le conseguenze economiche e culturali che si potrebbero riprodurre nel lungo periodo.
In buona sostanza le nuove norme prevedono che, in relazione a condizioni di reddito sulla base dei dati della Agenzia delle entrate sulle dichiarazioni fiscali, milioni di persone e di nuclei familiari potrebbero usufruire di un sostegno al reddito senza nemmeno il dovere di contraccambiare con la disponibilità ad accettare un nuovo lavoro. E con la singolare coincidenza di una proposta di sanatoria per gli immigrati irregolari finalizzata a reperire manodopera per effettuare i lavori che non vogliono, o sarebbe meglio dire non devono, fare gli italiani.
Salvo poterlo fare volontariamente con alle spalle una sorta di salario garantito da parte dello Stato. Il tutto sulla base di autocertificazioni degli interessati, che hanno dato luogo, come documentato dalla Guardia di finanza, ad abusi di massa.
Ovviamente la normativa prevederà che questi sono interventi emergenziali rigorosamente limitati per il periodo delle misure adottate per prevenire i contagi. Ma il il vero problema occupazionale si verificherà a valle degli interventi di lockdown, quando molte attività produttive saranno costrette a tirare le fila dei danni prodotti in questi mesi. E con un aumento della disoccupazione che costituirà l’alibi per prorogare ulteriormente misure di questo genere.
Misure assistenziali, destinate a disincentivare la ricerca di un nuovo lavoro quando sarà evidente l’esigenza di mobilitare le risorse finanziarie e quelle umane verso nuovi investimenti e nuovi posti di lavoro.
Si sta affermando l’idea malsana che i problemi possano essere affrontati a colpi di debito e di sussidi, e che lo Stato debba essere chiamato a supplire ad ogni evenienza. Tutto questo è destinato a generare una stagione di rivendicazioni insensate, e di approcci opportunistici di massa. E che purtroppo trovano sponda in una classe dirigente politica priva di dignità e di onore.
Tratto dal Sussidiario del 5 maggio 2020
Natale Forlani è stato segretario confederale della Cisl e ad di Italia Lavoro (Agenzia strumentale del Ministero del Lavoro, della quale ha assunto anche la carica di presidente nel 2009). Già direttore generale dell’Immigrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, è stato estensore, insieme a Marco Biagi ed altri autori, del Libro Bianco sul Lavoro.