LibertàEguale

Salario minimo secondo il costo della vita

Intervista a Pietro Ichino

 

Uno standard minimo universale è utile per correggere alcune distorsioni; ma non basta: occorrono anche più informazione, mobilità e formazione mirata agli sbocchi migliori effettivamente esistenti – Non basta, da sola, neanche la contrattazione collettiva: perché dove c’è lavoro povero, lì il contratto collettivo per lo più non arriva


Intervista a cura di Luca Monticelli, pubblicata su La Stampa il 10 ottobre 2023 – In argomento v. anche il mio articolo pubblicato su lavoce.info il 6 ottobre scorso,  Se è il giudice a stabilire il minimum wage .

Professor Ichino, lei è favorevole al salario minimo legale?
Sì, lo considero uno strumento necessario per correggere alcune distorsioni del mercato del lavoro nella fascia più bassa. Ma è uno strumento chirurgico, che con precisione chirurgica deve essere usato in relazione alle condizioni del mercato del lavoro, se non si vogliono fare danni.

Come giudica la soglia di 9 euro orari proposta dalle opposizioni e dalla Cgil?
A Milano potrebbero essere anche aumentati a 10. Ma nel mercato del lavoro calabro o lucano sopra gli 8 euro lo standard sarebbe probabilmente troppo alto, causa di crescita del lavoro nero se non della disoccupazione.

Però secondo il Cnel il limite minimo di 9 euro sarebbe inferiore alle tariffe stabilite da quasi tutti i contratti collettivi.
Questo è vero per quasi tutti i contratti del settore industriale: e l’industria, non per caso, è quasi tutta dislocata al centro-nord del Paese. I contratti collettivi nazionali che si collocano sotto la soglia dei 9 euro orari complessivi si riferiscono invece tutti a settori di servizi, la cui applicazione – e anche questo non è un caso – è distribuita su tutto il territorio nazionale. Questi ultimi, per potersi applicare anche al sud, stabiliscono minimi tabellari che al nord, e soprattutto nelle grandi aree metropolitane, sono palesemente inadeguati.

Qual è la soluzione corretta secondo Lei?
Che gli standard minimi siano stabiliti tenendosi conto del potere d’acquisto effettivo della moneta. Altrimenti essi sono, inevitabilmente, o troppo bassi per il nord, o troppo alti per il sud. Basterebbe modularli secondo un coefficiente del costo della vita calcolato dall’Istat.

Sindacati e sinistra obiettano che in questo modo si reintroducono le “gabbie salariali”.
Quel sistema, superato nel ’68, prevedeva davvero delle “gabbie”: una differenziazione rigida e immutabile in relazione a 14 zone in cui il Paese era arbitrariamente suddiviso. Quello che propongo è il contrario: un sistema di modulazione dello standard molto mobile e reversibile, legata al dato periodicamente rilevato dall’Istat.

Il Cnel, su mandato della premier Giorgia Meloni, si appresta ad approvare un documento che boccia il salario minimo sostenendo che la povertà lavorativa non si combatte con questo mezzo. Che cosa ne pensa?
La povertà lavorativa non si combatte solo con lo standard minimo legale: la si combatte soprattutto favorendo l’aumento della produttività del lavoro nelle fasce professionali più basse. Però serve anche un minimum wage governato bene: serve per correggere alcune distorsioni del mercato, causate da difetti di informazione, di formazione mirata agli sbocchi esistenti e di mobilità delle persone.

Il Cnel punta sul rafforzamento e l’estensione dell’efficacia dei contratti collettivi seri, per superare quelli pirata, un intervento che fino ad oggi è stato considerato molto complicato dal punto di vista giuridico e burocratico.
La soluzione tecnica praticabile c’è; ma richiede una modifica dell’articolo 39 della Costituzione, che a sua volta richiederebbe un ampio consenso politico. Ma anche questa riforma non risolverebbe il problema della debolezza grave attuale del sistema delle relazioni sindacali.

Come può il governo di centrodestra puntare oggi tutto sul contratto nazionale quando lo stesso centrodestra ha sempre puntato sulla priorità del contratto aziendale?
Aziendale o nazionale, difficilmente può essere la contrattazione collettiva a risolvere il problema; perché dove c’è lavoro povero, lì il contratto collettivo per lo più non arriva.

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