di Giovanni Cominelli
La vicenda russa di Salvini ha posto ulteriormente sotto i riflettori due linee di affinità elettive di Salvini con Putin, fatte salve le proporzioni tra i due. Non sono né nuove né clandestine. La prima è quella della politica estera, la seconda è l’idea della democrazia illiberale. E i soldi? I documenti finora conosciuti rivelano una proposta di fare la cresta su transazioni commerciali con i russi. Quando i russi erano “sovietici”, accadeva con le Cooperative. E gli altri partiti utilizzavano altri tramiti nazionali e internazionali. La ricerca di finanziamenti esteri è sempre stata anche la continuazione della politica estera con altri mezzi oltre che di quella interna. In attesa di indagini della magistratura, ciò che oggi è politicamente rilevante sono le affinità elettive. Pecunia sequitur, forse. Parlare di tradimento nazionale e di corruzione internazionale risulta pertanto eccessivo.
La visione provinciale della Lega e il fascino di Putin
L’attrazione per Putin è la conseguenza logica della provincialissima visione geopolitica della Lega. Quella del governo gialloverde è più ondivaga e incerta – è il primo governo della Repubblica che non sa dove stare -, quella di Salvini è netta. Il mondo è fatto di Stati nazionali – un solo popolo, una sola etnia, un solo Stato – ciascuno proteso alla difesa dei propri interessi, dei propri confini, della propria sovranità. Ogni tentativo o realtà di organizzazione sovranazionale, multietnica, multiculturale, multieconomica, multifinanziaria mette a rischio la sovranità nazionale, la sicurezza, l’identità nazionale. Perciò, “padroni a casa nostra”.
E’ questo un antico filone di pensiero leghista, di cui l’idea di un sindacato politico del Nord, circoscritto alla sola Padania, e quella cronologicamente successiva della secessione sono state l’incarnazione. Il progetto secessionista del Nord è fallito, ma si è allargato all’Italia intera, secessionista dall’Europa. Le categorie interpretative di fondo sono le stesse. Il mondo è lo stesso dei primi gruppi di ominidi: piccole comunità e piccole patrie. Fuori di esse, ci sono solo insicurezza e paura.
Le uniche affinità sono possibili solo con forze politiche e governi che perseguano la stessa filosofia. Come dimenticare l’incontro di solidarietà di Bossi con Milosevic il 23 aprile 1999, quando avrebbe dovuto prendere in carico tre militari americani prigionieri? Salvini ha alzato le ambizioni: affinità con Orban e il Gruppo di Visegrad, con i Brexiters, con Putin, con Kim Jong, con Trump… Affinità, ma non alleanze. Intanto, perché ciascuno persegue ferocemente i propri interessi, che cozzano inevitabilmente contro quelli di ogni altro. Se alleanze, mai alla pari, perché gli Stati hanno potenza diseguale. Un’alleanza con Putin o Trump non può che essere incapsulata dentro le loro strategie di superpotenza. Se l’Europa è considerata una minaccia commerciale e politica da Trump e da Putin, chiunque veda nell’Europa unita una minaccia è benvenutonell’alleanza subalterna. Il guaio di questa rappresentazione paleo-hobbesiana dei rapporti internazionali è non soltanto che noi siamo piccoli e gli altri grossi, ma anche che le comunità westfalianee post-hobbesiane continuano fortunatamente a esistere: dalla Nato alla Ue, dal Fondo monetario internazionale, al G20, all’Onu…
Se poi si pretende di fare alleanze con due superpotenze contemporaneamente, in competizione l’una con l’altra, come è il caso di Trump e di Putin, si finisce per ragliare come “l’asino in mezzo ai suoni”.Il fascismo aveva promosso una politica nazionalista a fini imperialistici, letteralmente: si trattava di costruire un impero. Aveva una politica estera. Salvini non ne ha nessuna. Abbaia e digrigna i denti, ma non esce dalla cuccia. Il che non manca di conseguenze e di sconfitte, quando, a livello del Consiglio dei Ministri dell’interno europei, si tratta di rinegoziare il Trattato di Dublino o, quando si è costretti a tagliare 7 miliardi di spesa pubblica prevista per evitare la procedura di infrazione.
Salvini e l’onnipotenza della politica
L’altro punto di affinità elettiva è il modello di “democrazia illiberale”. Esso non mette in discussione teoricamente le istituzioni democratiche, la separazione dei tre poteri, il ruolo del Parlamento. Tuttavia, ciò che emerge dalla parole e dai gesti, dalle prese di posizione e dai tweet di Salvini è l’idea dell’onnipotenza della politica, elettoralmente legittimata dal popolo. Il quale è onnipotente, non è sottoposto alla legge, è la Legge. Pertanto l’Eletto dal popolo è la Legge. Questo è il punto di contatto tra il populismo alla M5S, alla Bannon, alla Trump, alla Putin, alla Orban, alla Xi Jinpin.Pertanto, pur non scardinando la divisione tra i poteri, la politica onnipotente tende a compiere forzature sugli apparati, a piegarli al proprio servizio, a occuparli.
Sorge, a questo punto, l’interrogativo angosciato da parte di settori illuminati del giornalismo e dell’opinione pubblicata: un Paese che non si scandalizza per gli incontri moscoviti dei leghisti – con le implicazioni di politica internazionale e di cultura politica sopra brevemente descritte – e che, anzi, aumenta il consenso per Salvini, è un Paese malato?
Il Paese è malato. Da molti decenni
La risposta è sì! Solo che la malattia non è insorta adesso. Il Paese è ammalato da decenni e decenni. Almeno dal 1922. Ammalato di onnipotenza della politica e di occupazione e utilizzo a fini di parte delle istituzioni democratiche. E’ paradossalmente proprio la vicenda che interessa in questo periodo la Magistratura – il potere più autonomo di tutti – a fornire la conferma di questa patologia di lunga durata.
La democrazia illiberale in Italia non è mai stata teorizzata, ma intensamente praticata dal sistema dei partiti. Onnipotenza della politica significa capacità di dispensare favori e protezione immediata degli interessi, corporativi e non, e il tentativo di aggirare procedure e apparati amministrativi paralizzanti. Onnipotenza della politica significa aumento del debito pubblico. E’ anche la via di Salvini e di Di Maio. Così, la domanda popolare di onnipotenza e di uomo forte è causa ed effetto del cattivo funzionamento della democrazia liberale e dello Stato amministrativo. La caduta del sistema dei partiti fu dovuta, alla fine, all’incapacità ormai conclamata di fornire protezione, favori, vie brevi.
Sui fragili fondamenti istituzionali ed etici della democrazia liberale in Italia la produzione letteraria è ingente ed è nota. Qui ci si limita solo ad osservare che lo scandalo del “Paese malato” è “lo scandalo dei pusilli” di mente e di memoria. Dal punto di vista degli elettori, nihil sub sole novi. Non c’è scandalo, perché gli elettori percepiscono una grande continuità rispetto agli anni della Prima repubblica relativamente alle due poco goethiane Wahlverwandtschaften.
Ciò significa che la campagna scandalistica sui soldi avrà breve respiro e nessuna efficacia. Chi volesse costruire un’alternativa realistica al salvinismo partitocratico dovrebbe presentare un progetto di riforma del funzionamento dei partiti e della politica e incominciare a praticarlo in casa propria. Non basterà l’ennesima campagna sulla questione morale, che, d’altronde, ha finito per squalificare l’attività politica come tale.
E’ la mancanza di un progetto credibile e convinto che ha generato e continua ad alimentare il populismo e il nazionalismo, la cui essenza è, appunto, l’onnipotenza totalitaria della politica, la passivizzazione dei cittadini-elettori, l’occupazione dello Stato, le clientele e la corruzione.
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.