di Danilo Di Matteo
Che, almeno qualche volta, cuore e testa si incontrino è, per me, una questione di importanza vitale. E dinanzi all’intervista rilasciata al Tg1 dalla premier finlandese Sanna Marin, fra me e me ho pronunciato un liberatorio finalmente.
Fin da ragazzino mi sento ripetere: sì, la socialdemocrazia scandinava è bella, ma… non fa per noi. Siamo diversi, qui non funzionerebbe. E le differenze ovviamente sono notevoli. Come paragonare, ad esempio, un Paese di pochi milioni di abitanti con Stati che hanno una popolazione di oltre 60 milioni?
Eppure Silvano Andriani, di cui avevo tanta stima e che avrebbe meritato a parer mio una visibilità assai maggiore, sottolineava che a imparare dagli scandinavi, nel dopoguerra, fu paradossalmente più Amintore Fanfani che il Psi o il Pci.
Abituato alle nostre strane alchimie, alle nostre acrobazie linguistiche, anche a quelle che hanno preso il posto del “politichese” della prima Repubblica, ai nostri “cinguettii” telematici colmi di cattiveria e di stupida ironia, ho provato ammirazione ascoltando le parole semplici, chiare, lineari ed efficaci della leader di Helsinki. Chiare in quanto trasparenti, come l’acqua pulita. Parole, non da ultime, per definire cosa sia l’eguaglianza: offrire a ciascuna e a ciascuno le stesse possibilità. Offrirle anche se il reddito è dissimile, o se diverso è il credo religioso o politico, o magari il genere o, ancora, l’orientamento sessuale. Offrirle mediante l’educazione (non la mera istruzione, bensì la formazione, solida e continua): la rivoluzione permanente dell’apprendimento, commenterei io. Un discorso che non ricorre a troppi “ismi”. Ne fa ricorso, anzi, una volta sola, su sollecitazione dell’intervistatrice: “certo, sono femminista”. Dare uguali possibilità condensa le stesse capacità che abbiamo appreso da Amartya Sen, molto al di là di “pari opportunità” generiche e astratte, se non disincarnate.
Anche le “socialdemocrazie nordiche” conoscono i loro travagli, le loro cesure, i loro drammi, mille e mille contraddizioni. Come non leggere in questa chiave la vicenda del grande Olof Palme, che molto ammiravo? Come dire: la socialdemocrazia che si proietta oltre se stessa. E che, dunque, è tutt’altro che morta.
Psichiatra e psicoterapeuta con la passione per la politica e la filosofia. Si iscrisse alla Fgci pensando che il Pci fosse già socialdemocratico, rimanendo poi sempre eretico e allineato. Collabora con diversi periodici. Ha scritto “L’esilio della parola”. Il tema del silenzio nel pensiero di André Neher (Mimesis 2020), Psicosi, libertà e pensiero (Manni 2021), Quale faro per la sinistra? La sinistra italiana tra XX e XXI secolo (Guida 2022) e la silloge poetica Nescio. Non so (Helicon 2024) È uno degli autori di Poesia e Filosofia. I domini contesi (a cura di Stefano Iori e Rosa Pierno, Gilgamesh 2021) e di Per un nuovo universalismo. L’apporto della religiosità alla cultura laica (a cura di Andrea Billau, Castelvecchi 2023).