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Sciogliere l’assemblea nazionale: ecco perché Macron aveva ragione

di Pasquale Pasquino

 

La prima reazione di molti alla decisione di Emmanuel Macron di sciogliere l’Assemblea nazionale dopo il risultato delle elezioni europee è stata: è una follia. Se si guarda indietro tenendo conto della formazione della nuova Assemblea dopo il voto del 7 luglio è poco ragionevole affermare che il presidente francese abbia commesso un errore.

È dalle elezioni politiche del 2022, da due anni, che il potere legislativo che risiede nel Parlamento francese è paralizzato, chi non se n’era accorto era distratto. Per l’assenza di una maggioranza al Palais de Bourbon, per l’opposizione caotica e distruttiva del gruppo parlamentare di Mélenchon, la France insoumise, e anche per il rifiuto da parte di tutte le forze di opposizione e di buona parte dell’opinione pubblica del ricorso da parte del governo agli strumenti del parlamentarismo razionalizzato, che segnala lo scollamento fra forze politiche e opinione pubblica nei confronti della stessa costituzione della 5a Repubblica.

Il risultato delle elezioni europee aveva ulteriormente indebolito il governo di minoranza e la posizione del Presidente della Repubblica – non solo in Francia ma anche nell’UE. Certo il suo mandato era intatto e avrebbe potuto continuare a sedere sullo scranno dell’Eliseo, come un re fannullone, mentre il malumore del paese avrebbe probabilmente portato ad una crescita ulteriore del Rassemblement National e comunque ad una probabile sfiducia nei confronti del governo Attal in occasione del voto in autunno sul bilancio dello stato.

Macron ha rifiutato questa prospettiva di rassegnazione. E ha chiesto nuove elezioni.

Un buon argomento per tale scelta, che i commentatori disattenti non hanno preso in considerazione, è che alle elezioni europee l’astensione degli elettori di centro e di sinistra è stata molto più significativa di quella degli elettori del partito di Le Pen (si vedano i dati di questo importante articolo: https://legrandcontinent.eu/fr/2024/06/18/la-mobilisation-de-lelectorat-de-la-gauche-et-du-centre-peut-fortement-affaiblir-le-rn/ ).

Macron ha chiamato gli elettori, che erano stati poco attenti alle elezioni europee, a verificare i rapporti di forza fra gli attori politici in Francia. E il risultato da quasi tutti inatteso (perché non si era guardato all’astensione alle europee) è stato chiaro: il RN di Le Pen – per quanto “dediabolizzato”, come si dice in Francia – è solo la terza forza del paese. Il centro è la seconda, meglio di quanto si poteva immaginare. E la sinistra è arrivata in testa.

Ma si tratta in questo caso di un cartello elettorale che include forze molto diverse fra di loro. Fra i socialisti che sono stati risvegliati dal loro sonno da Raphaël Glucksmann e i Melenchonisti della France insoumise la distanza è maggiore che fra gli elettori italiani di Giorgia Meloni e quelli che votano per Salvini. Il voto richiesto da Macron con lo scioglimento ha fortemente indebolito il RN e può spaccare il Nuovo fronte popolare, unito soltanto dall’ostilità nei confronti della destra nazionalista. Il putinismo di Mélenchon è l’opposto della posizione esternamente favorevole all’Ucraina di Glucksmann che si è formato politicamente nelle battaglie contro l’imperialismo russo.

Resta una Assemblea nazionale senza maggioranza. La Francia come l’Italia dopo le elezioni del 2018 è divisa in partes tres. E i cugini francesi devono imparare l’arte a loro poco familiare dei compromessi, se vogliono uscire dalla paralisi.

Il compito non impossibile di Macron è spezzare il cartello elettorale della sinistra. Al posto di un governo di centro che guardava a destra, quando il Partito socialista si era suicidato durante la presidenza Hollande, ora che questo è in qualche misura sperabilmente risorto, il presidente francese deve cercare una maggioranza al centro che guarda verso la sinistra europeista. Questa c’è. Si può sperare che con il gruppo ecologista dell’Assemblea e con i post-gollisti che hanno rifiutato le lusinghe del Rassemblement National vi sia all’Assemblea una maggioranza legislativa capace di escludere le estreme.

Per ora il governo Attal resta in carica per gli affari correnti ma dopo i giochi olimpici, Macron dovrà verosimilmente nominare un primo ministro capace di formare una maggioranza. Jean Castex? Si vedrà. Certamente non Mélenchon.

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