di Giovanni Cominelli
Se l’infuriare dell’epidemia del Covid e della guerra di Putin contro l’Ucraina potevano indurre l’illusione che in Italia il populismo e il sovranismo fossero in ritirata, la vicenda politica quotidiana smentisce questo preteso trend.
La spiegazione immediatamente a disposizione di tale abbaglio è che il Governo Draghi ha acquisito una notevole capacità di gestione degli affari correnti, ma tutt’altro che ordinari, e un tale presenza nel quadro internazionale da sospingere in un cono d’ombra quanti tentano di agitarsi sulla scena come il povero attore shakespeariano “che recita la sua ora sul palco e poi non se ne sa più niente”.
E per ciò, più aumenta l’insignificanza, più i comprimari alla Salvini e alla Conte strepitano sulla scena. Le elezioni si avvicinano, i trionfi elettorali si allontanano. Se il M5S si sta contraendo in una dimensione solo meridionale e la Lega di Salvini in una solo nordica, i due debbono pure inventarsi qualcosa. Eccoli, dunque, muoversi in convergenza significativa sui temi decisivi della pace e della guerra, della collocazione internazionale euro-atlantica dell’Italia e di quella, immediatamente conseguente, dell’invio delle armi.
Eppure, non si tratta solo di manovre tattiche finalizzate alla sopravvivenza politico-elettorale.
Se è possibile che degli imprenditori politici continuino ad attingere alla risorsa populista e sovranista, la ragione è che il fiume sotterraneo del populismo e del sovranismo scorre tuttora nel profondo della società italiana. Il populismo: la democrazia “diretta”, senza mediazioni istituzionali, attacco alle élites e assistenzialismo parassitario massiccio. Il sovranismo: no alla globalizzazione e alle élites globalistiche, non ad istituzioni e organismi internazionali, che limitino la sovranità degli Stati-nazione. Le loro acque si mescolano. E’ un fiume che va a destra o va a sinistra? Il suo affiorare ha messo in crisi la declinazione novecentesca di quelle categorie. Così troviamo in navigazione su questo fiume il M5S, la Lega, Fratelli d’Italia, pezzi di Forza Italia, settori di sinistra radicale, la CGIL… Una Cosa c’è, ma come la nominiamo? Così gli elettori scorazzano da un ovile all’altro e, soprattutto a sinistra, ci si accusa a vicenda di aver tradito la classe operaia o di aver preferito i penultimi agli “ultimi”.
Converrà dunque, prima di correre sul posto con la scatola degli attrezzi-categorie di una volta, prima di scandalizzarsi se Giulio Tremonti lamenta con i toni lirici di Landini, dal palco dell’Assemblea nazionale di Fratelli d’Italia, la difficile condizione della classe operaia del Nord, converrà guardare con discernimento alla radice il fenomeno.
Come appare ormai evidente a occhio nudo, la globalizzazione attuale ha generato effetti inattesi, variegati e intensi su scala mondiale.
Mentre le precedenti globalizzazioni, le cui tappe gli studiosi elencano da tre a cinque, erano alimentate, come tutte, dallo sviluppo tecno-scientifico, erano però anche tutte promosse dal potere politico degli Stati. L’imperialismo-colonialismo era la globalizzazione comandata dagli Stati-nazione, che si trasformavano in Stati-impero. Erano importanti le navi commerciali, ma anche le cannoniere. Prima si muovevano i mercanti, ma dietro di loro i soldati, i missionari, i burocrati.
La globalizzazione di questi anni è diversa. La finanza, i commerci, i servizi, la Rete ha preso il sopravvento sulla politica e sugli Stati. E’ un imperialismo senza soggetto o, meglio, un soggetto transnazionale, senza Stato. La globalizzazione economico-finanziaria ha perciò messo in crisi la geopolitica, che si è messa in coda. Gli Stati si sono ridotti ad amministrare nei propri confini gli effetti economico-sociali-culturali a valanga provocati da fattori esterni. Sono stati ampiamente descritti: ingresso di grandi masse, soprattutto cinesi, nell’universo dei consumi minimi primari, diseguaglianze relative crescenti, un pugno di ricchi iperprivilegiati e masse di “schiavi”, sconvolgimento delle catene di valore, peso preponderante della finanza sulla manifattura, emigrazioni, inquinamento…
L’Occidente del secondo dopoguerra, con le sue classi ben definite, le sue istituzioni democratiche e liberali, i suoi partiti si è sfrangiato. Le promesse della democrazia liberale, tutte centrate sulla persona, sui suoi diritti, sulle sue opportunità, sul suo benessere sono state sempre meno onorate. Un numero sempre maggiore di individui si percepisce come “diseguale”, perché “lasciato indietro”, ai margini della corrente viva del mondo. Donde i riflessi di reazione di un accanimento identitario, i movimenti “cancel culture” e “woke” per segnare la propria diversità e il proprio ruolo, per non finire tra “i sommersi”.
Se così stanno le cose, la domanda cui rispondere oggi, resa più urgente e ultimativa dalla guerra in corso, è la seguente: come la politica e con quali istituzioni, attraverso un progetto razionale di ordine del mondo, può essere capace di riaddomesticare le dinamiche selvagge dell’economia e della finanza e di tenere sotto controllo gli effetti socio-economici che esse sottoproducono?
Giacché, per quanto sia diventato senso comune che l’economia è e non può che essere una variabile indipendente dello sviluppo umano, nella concezione cristiano-liberale, secondo i principi della liberté-égalité-fraternité, è esattamente l’opposto. Qui sta il fondamento del primato della politica. Che il progetto politico non possa assumere la declinazione prometeica che è stata fornita dal Seicento scientifico, dall’IIluminismo, dal Positivismo, dal Marxismo; che debba essere più consapevole dei propri limiti e più cauto nell’uso dei mezzi… tutto ciò è stato confermato dalle vicende storiche. Ma il progetto resta. Ed il fatto nuovo è la dimensione globale del progetto, al centro del quale sta la persona, con tutto il reticolo delle sue relazioni, e il suo destino.
Se l’economia è diventata globale, la politica non può restare nazionale e inseguire trafelata ciò che fanno Amazon, Google, Black Rock, Ali Baba, Twitter, Elon Musk… Servono istituzioni politiche internazionali, che si misurino sul terreno dell’economia, della finanza, del fisco, degli extra-profitti e, si intende, su quello geo-politico e della sicurezza. E’ evidente che le organizzazioni internazionali uscite dal Secondo dopoguerra non sono più in grado di costruire argini a protezione dello sviluppo e della pace.
Di qui lo spazio e l’urgenza di nuove istituzioni europee, con nuovi meccanismi istituzionali e di governo, come da Letta a Draghi si viene proponendo.
Rivendicare una governance puramente nazional/sovranista dei fenomeni di impoverimento, emarginazione, risentimento che sono localmente ingovernabili, perché le loro cause risiedono fuori dal territorio nazionale, porta all’aggravamento degli stessi, in un precipizio vizioso, in fondo al quale sta la fine della politica democratica, l’insorgenza di forme violente di pensiero, sentimento e di azione.
L’esercizio efficace della propria sovranità nazionale richiede la devoluzione di alcuni compiti e funzioni a organismi sovrannazionali di scopo. Che, nell’immediato, il sovranismo/populismo possa autoalimentarsi, chiamando alla mobilitazione rabbiosa e risentita contro le élites globaliste, è possibile ed è ciò che i leader attuali perseguono per cinico disegno politico-elettorale di autarchia assistenzialista. Ma una tale trend è destinato a implodere nel declino del Paese.
Intanto, le istituzioni italiane languono. Né il sistema istituzionale, né il sistema politico, né il sistema elettorale sono preparati per la sfida europea e globale. Sono destinati alla ordinaria instabilità, impotenza, inconcludenza. Tra le quali hanno interposto uno straordinario periodo di virtù governative il tandem Mattarella-Draghi, sotto la pressione del Covid e della guerra russa in Ucraina. Tuttavia, le emergenze non potranno funzionare a lungo come alibi per l’eterno rinvio dei problemi irrisolti del Paese.
Editoriale da santalessandro.org, sabato 7 maggio 2022
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.