di Josep Maria Carbonell
Gli indulti, ora e oggi in Catalogna, sono essenziali per ricostruire la situazione in cui viviamo e per proiettare uno scenario futuro di convivenza, progresso e unità civile. A mio avviso ci sono cinque ragioni fondamentali per concederli.
Prima di tutto, dobbiamo riconoscere che siamo tutti responsabili di questo decennio di Processo indipendentista e che tutti abbiamo la nostra parte di colpa. Probabilmente, alcuni più di altri, e forse i più responsabili non sono nemmeno in galera.
Sì, dobbiamo ammetterlo. Dobbiamo partire da questa affermazione che dovrebbe essere la base per le scuse. Guardiamoci l’un l’altro. Alcuni hanno promesso la liberazione del Paese presentandosi come i nuovi Mosè della Catalogna; altri, promuovendo la catalanofobia per raggiungere i propri interessi elettorali. Altri ancora hanno inventato un racconto sullo sfruttamento della Catalogna da parte della Spagna, che Johnson avrebbe poi copiato per lasciare l’Unione Europea. Altri insistono, con tutti i mezzi possibili, che “il mondo ci guarda” e che “l’Unione europea ci accoglierà a braccia aperte”. Altri vogliono dividere il paese per molti anni con una teorica persecuzione del castigliano in Catalogna e dei non catalanisti. I socialisti, paralizzati dopo gli ultimi anni del secondo governo Zapatero, non sono riusciti a far saltare le trincee che si stavano costruendo nel Paese. I media della Generalitat, trasformati in portavoce permanenti del secessionismo, dediti alla loro causa.
Sono successe troppe cose negli ultimi dieci anni per individuare un determinato gruppo di persone come colpevoli e mandarle in prigione. Devono uscire di prigione adesso, sempre seguendo il più scrupoloso processo di rispetto della legge (per quanto spesso vorremmo cambiarla). Devono uscire, adesso, perché questa è la strada della riconciliazione e per porre fine all’odio che si sta installando nelle nostre élite politiche e civili.
In secondo luogo, servono gli indulti perché durante questo decennio di Processo indipendentista credo che tutti concorderanno che il Paese è stato diviso per ora in tre blocchi inconciliabili: il blocco indipendentista, che secondo l’ultimo sondaggio de La Vanguardia rappresenterebbe il 42% di quelli censiti, il secondo blocco con i federalisti e il terzo con gli unionisti. Poiché i sondaggi non li separano – lo trovo molto ingiusto – posso dire che nell’ultimo sondaggio hanno rappresentato il 52% dei voti contro l’indipendenza.
I leader indipendentisti hanno sempre affermato di rappresentare il popolo catalano: non vogliono rendersi conto che la Catalogna è un Paese molto plurale, con cittadini con radici di prima o seconda generazione fuori dal Paese e che, quando gli indipendentisti si attribuiscono il “Popolo di Catalogna”, non fanno altro che prendere le distanze, almeno, dal 50% della popolazione catalana e disprezzarla. Rifare l’unità civile della Catalogna, raggiungere un consenso che coinvolga almeno il 70% della popolazione in un progetto trasversale e condiviso è, oggi come oggi, un’urgenza. L’indulto può rappresentare la condizione della possibilità di farlo.
C’è un terzo motivo di cui nessuno osa scrivere o parlare. Durante questi dieci anni di Processo fortunatamente non dobbiamo piangere alcuna morte, anche se ci sono state ferite e rappresaglie. E questo è un bene molto rilevante se vogliamo che le ferite si rimarginino. Durante il Processo ci sono stati momenti di violenza, a cominciare dalla repressione delle forze dell’ordine il giorno del referendum e continuando con manifestazioni violente in alcuni momenti.
Se guardiamo ad altri Paesi, i confronti dovrebbero far riflettere: in Cile, tra ottobre 2019 e marzo 2020, secondo i dati ufficiali, sono morte 34 persone; In Colombia nelle ultime settimane sono morti 47 cittadini; ci sono stati undici morti a seguito delle manifestazioni e delle azioni dei Gilet Jaunes e della repressione della polizia in Francia e, più recentemente, ricordiamo quelli uccisi durante l’assalto dei Trumpisti al Congresso degli Stati Uniti. Che non ci siano state vittime è sia una conseguenza della civiltà di gran parte del movimento indipendentista sia dell’azione proporzionata delle forze di sicurezza. Sono convinto che gli indulti ridurranno la tensione interna vissuta da molti catalani, che trovano le condanne molto ingiuste e che l’incarcerazione dei politici è scandalosa.
Un quarto motivo è che l’indulto rappresenta un passo decisivo per uscire dalla trincea e per esplorare accordi per il futuro. Il radicamento ha portato, allo stesso tempo, alla rottura di ogni tipo di dialogo e alla generazione di animosità che si sta trasformando in odio in alcuni settori delle élite politiche e anche negli stessi cittadini. Le trincee attuali devono essere trasformate in agorà per il futuro. Occorre anche individuare chi vuole o non vuole costruire questo dialogo, chi crede che solo il dialogo – base del principio democratico – apra le porte al futuro. Sono quelli che sanno che in un processo di dialogo tutti vincono e tutti perdono qualcosa, che sanno che tra storie che si affrontano il risultato sarà, se possibile, una storia diversa, integrante.
E infine, un quinto aspetto fondamentale. Gli indulti rappresentano un chiaro primo passo, ad extra, del Tavolo di dialogo con il governo centrale per avanzare negli aspetti concreti tra i due governi. Ma non basta: occorre costruire, come dicevo, un dialogo ad intra, trasversale, fatto di partiti, attori sociali e civici per ricostruire il futuro del nostro Paese in cinque ambiti specifici: sociale e sanitario – chiave per garantire la coesione – economico e dell’innovazione – per rifare l’economia danneggiata dal Processo e dalla pandemia – educativo e della ricerca – per rafforzare il nostro sistema educativo – universitario e di ricerca, quella territoriale – per ricostruire la situazione martoriata del mondo rurale e lo spopolamento di alcune aree – e, infine, l’ambito che ci consente di raggiungere un accordo interno sugli obiettivi da raggiungere per il nostro autogoverno.
Tuttavia la decisione di Pedro Sánchez e del suo governo sull’indulto non sarà facile. Lo stiamo già vedendo dal primo momento. Il PP è ansioso di tornare al potere centrale. La vittoria di Ayuso a Madrid segna un orizzonte che unisce il neonazionalismo spagnolo aznarista e le politiche ultraliberali. Sanno che per elevare questo nazionalismo, indispensabile per sconfiggere il PSOE, promuoveranno un’ampia campagna contro l’indulto in modo simile alla precedente, condotta più di dieci anni fa, contro il nuovo Statuto regionale e Zapatero. Quella campagna – alla quale alcuni media hanno partecipato attivamente – è alla base di tutto ciò che abbiamo vissuto negli ultimi anni. Sono una parte importante del disastro che abbiamo vissuto.
Purtroppo nei prossimi giorni assisteremo a una campagna di terra, mare e cielo contro Pedro Sánchez e gli indulti. L’obiettivo non è la Catalogna o il Procés. L’obiettivo è tornare al Palazzo del Governo. La brama di potere è molto più forte del senso dello Stato.
Spero che il PSOE – nelle sue diverse varianti, Podemos – la società civile catalana e spagnola, i media, i sindacati e i datori di lavoro, abbiano il coraggio di parlare a sostegno degli indulti.
Giochiamo molto. Rischiamo il futuro.