di Rosario Sapienza
Ai termini dei trattati dell’Unione europea siamo cittadini europei, ma capita spesso di sentir dire che siamo cittadini europei che non si sentono tali.
In realtà, pur essendo vero che a tutti gli europei, e particolarmente a noi italiani, farebbe un gran bene pensare in maniera meno asfitticamente nazionalista, l’espressione cittadinanza europea ha un significato tecnico più ristretto e preciso, che val la pena di precisare in apertura di queste considerazioni.
Che cos’è la cittadinanza europea?
Conviene ricordare in premessa che la cittadinanza è, al netto delle tante discussioni degli esperti, quell’insieme di diritti e doveri che spettano a tutti all’interno di una data comunità e che garantiscono l’eguaglianza di tutti appunto.
A termini dei trattati dell’Unione, poi, la cittadinanza europea – che integra e non sostituisce quella nazionale – conferisce a tutti i cittadini degli Stati membri dell’Unione una serie di diritti supplementari rispetto a quelli che scaturiscono dallo status di cittadino di uno Stato membro. Il cittadino dell’Unione ha il diritto di votare e candidarsi alle elezioni amministrative ed europee nello Stato membro in cui risiede, gode della tutela consolare delle autorità di un qualsiasi Stato membro se il suo Stato non è rappresentato all’estero, può presentare una petizione al Parlamento europeo, rivolgersi al Mediatore europeo e, dal 2012, partecipare a un’iniziativa dei cittadini europei.
La libertà di circolazione
E, ancora, ha diritto alla libertà di circolazione, senz’altro il diritto più apprezzato. Ogni anno i cittadini europei compiono infatti più di un miliardo di spostamenti nell’Unione e sono sempre più numerosi quelli che esercitano il diritto di vivere in uno Stato membro diverso dal proprio. Eppure, sebbene oltre un terzo dei lavoratori sia pronto a prendere in considerazione un impiego in un altro Stato membro, quasi una persona su cinque ritiene che, all’atto pratico, vi siano ancora troppi ostacoli. Insieme alle difficoltà linguistiche, il principale scoglio al pendolarismo transfrontaliero è la carenza cronica di informazioni.
Nel 2013 si è celebrato l’Anno europeo dei cittadini ed è stata organizzata in tutta l’Unione una serie di manifestazioni, conferenze e seminari in ambito europeo, nazionale, regionale e locale. In preparazione dell’Anno europeo la Commissione condusse, tra il 9 maggio e il 9 settembre 2012, un’ampia consultazione pubblica per rilevare i problemi incontrati dai cittadini nell’esercizio dei diritti legati alla cittadinanza europea. Dalle risposte emerse chiaramente l’importanza che i cittadini attribuiscono ai diritti di cui godono nell’Unione europea, specialmente alla libera circolazione e ai diritti politici. Gli interpellati chiedevano un autentico spazio europeo in cui poter vivere, lavorare, spostarsi, studiare e fare acquisti senza trovarsi di fronte a ostacoli burocratici o discriminazioni.
La cittadinanza europea: una realtà frammentata
La Commissione europea è così da tempo al lavoro per superare tali ostacoli e pubblica periodicamente una relazione sulla cittadinanza dell’Unione (l’ultima è del 2017), ma la cittadinanza europea è una realtà ancora troppo frammentata e contribuisce anzi ad accentuare i divari economici e sociali che attraversano l’Europa.
Ci sono infatti diversi altri problemi.
In primo luogo, il rischio attuale che invece di una sola cittadinanza europea ce ne siano invece tante quanti sono i Paesi membri dell’Unione. Infatti, la natura della cittadinanza europea quale cittadinanza integrativa di quelle nazionali fa sì che ci siano tante cittadinanze e soprattutto tante maniere diverse per diventare cittadini europei, quante sono le cittadinanze nazionali. Ed in alcuni casi, come ad esempio in Italia, la questione è ancora fonte di complesse e accese discussioni.
In giro per l’Europa, quasi ovunque il regime giuridico dell’acquisto della cittadinanza risulta da un mix di ius sanguinis ( in base al quale si eredita la cittadinanza dei propri genitori, o, a certe condizioni, dei propri ascendenti) e ius soli (sistema in base al quale si è cittadini dello Stato sul cui territorio si è nati), spesso conditi da considerazioni relative alla stabilità della residenza e all’esistenza di significativi legami con la comunità nazionale della quale aspira ad acquisire la cittadinanza (il cosiddetto ius domicilii).
Nessun sistema è esente da difetti, e di solito le scelte si basano su concrete e pratiche esigenze di politica legislativa. Uno Stato interessato ad attrarre ed integrare persone dall’estero spingerà sullo ius soli, mentre uno desideroso di mantenere stretti i legami generazionali e nazionali esistenti privilegerà gli elementi di ius sanguinis.
Ma non c’è ancora un approccio unitario o uniforme. E questo ritarda, e di molto, qualsiasi significativa evoluzione verso una piena ed autentica cittadinanza europea.
Differenti appartenenze, differenti status personali
Un altro problema non è meno importante. Ed è che, proprio in virtù di questa complessa situazione, sul territorio di ogni Stato membro le persone vivono una accanto all’altra prigioniere delle loro differenti appartenenze che determinano differenti status personali.
Ci sono i cittadini di ciascuno Stato che godono della pienezza dei diritti e dello status di cittadino.
Ci sono poi i cittadini di un altro Stato membro dell’Unione che vivono in uno Stato diverso dal proprio: questi hanno i diritti della cittadinanza europea, godono dei diritti tutelati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ( che è in sostanza una specie molto particolare di cittadinanza), ma non godono di tutti i diritti di cui godono gli appartenenti al primo gruppo.
C’è poi un terzo gruppo di persone, quelle che sono originarie di un Paese che non fa parte dell’Unione. Le persone che appartengono a questo gruppo godono di diritti differenti a seconda del Paese dell’Unione sul quale si trovano, anche se sotto l’ombrello della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
E poi c’è un quarto gruppo di persone, i cosiddetti irregolari o clandestini (che sono in aumento grazie alla politica tutt’altro che accogliente dell’Unione europea) alla merce’ degli orientamenti politici delle maggioranze governative di turno. Inoltre, e c’è qui un ulteriore problema, se incrociamo gli status definiti per legge (che sia legge nazionale, europea o internazionale non importa) con i differenti livelli di sviluppo dei singoli territori in Europa (e all’interno dei singoli Stati membri) scaturisce il risultato di una frammentazione ulteriore della cittadinanza (intesa come insieme di diritti e doveri) per cui, restando alle questioni italiane, un cittadino italiano che vive nel Meridione ha per ciò solo un ammontare di diritti (concretamente esercitabili) inferiore a chi vive in altre zone dell’Italia.
Insomma viviamo in una Europa che sembra ancora quella del Medioevo, con differenti status personali legati alle differenti appartenenze.
Dare contenuti alla cittadinanza europea
Che fare? Due cose si possono fare da subito.
In primo luogo, l’Unione europea dovrebbe intraprendere una coraggiosa iniziativa per sostenere e riempire di contenuti la cittadinanza europea, lavorando perché si possa arrivare a una progressiva armonizzazione delle cittadinanze nazionali la cui diversità, lo dicevamo sopra, è un importante fattore di frammentazione.
La seconda cosa da fare è mettere la cittadinanza europea all’ordine del giorno dell’agenda dei movimenti di opinione a cui sta a cuore la costruzione di una Europa davvero vicina alla gente comune.
Per il momento, però, non vogliamo smettere di raccomandare a tutti noi di sentirci ogni giorno di più “cittadini europei”.
Direttore di Autonomie e Libertà in Europa, contenitore di iniziative e ricerche sulla protezione dei diritti umani nei diversi territori europei. Professore ordinario di diritto internazionale nell’Università di Catania, ha dedicato particolare attenzione alle politiche di riequilibrio territoriale dell’Unione europea, collaborando con la SVIMEZ. E’ vicepresidente di Coesione & Diritto, associazione per la tutela dei diritti umani sul territorio. Autore del blog Lettere da Strasburgo sul magazine online www.aggiornamentisociali.it.