di Marco Leonardi
Il governo Meloni è riuscito a tenere in ordine i conti pubblici: grazie a una retromarcia radicale sul superbonus (che avevano tutti sostenuto) e riducendo al minimo storico il numero degli anticipi pensionistici rispetto ai criteri Fornero, si è guadagnato la promozione dei mercati internazionali e dello spread.
Onore al merito, ma il problema più grande rimane il suo rapporto con l’Europa. Finché si tratta di politiche pubbliche nella sfera del controllo del governo italiano, con un grande sforzo di retromarcia rispetto alle promesse elettorali, il governo ce la fa. Dove sembra non farcela è quando le leggi italiane non bastano più e ci vuole un’azione di più ampio raggio su uno scacchiere europeo.
Ci sono almeno tre grandi temi di politica industriale che sono precipitati sul tavolo del governo Meloni: Intel, ILVA e Stellantis.
Come è noto, Intel era in trattativa con il governo italiano dai tempi del governo Draghi per uno stabilimento in Italia: dopo un anno, recentemente ha annunciato che non se ne fa niente. A ILVA le cose sono complicate da anni ma la situazione è precipitata adesso, il governo Meloni non sembra in grado di governarla. Certo dirà che la colpa è dei governi precedenti, ma tutti i governi ereditano situazioni difficili da quelli precedenti, ILVA avrebbe potuto ben precipitare 4 anni fa eppure non è stato così, è precipitata adesso. Stellantis da anni è diventata una azienda multinazionale, ma lo scontro con il governo appare solo adesso, uno scontro che, impostato così, sulle recriminazioni, il governo può solo perdere. Il punto è che Intel, ILVA (Mittal) e Stellantis sono tre grandi multinazionali che, piaccia o non piaccia, possono essere condizionate solo dalle convenienze economiche e politiche internazionali.
Il governo Meloni semplicemente non ragiona così, ragiona ancora con il sovranismo economico e la politica nazionale, purtroppo per lui però non siamo più ai tempi in cui i semiconduttori non esistevano neanche, l’acciaio si trattava su mercati nazionali e la FIAT era una azienda familiare italiana. Oggi è inevitabile: i semiconduttori, l’acciaio e le automobili sono mercati internazionali dominati da grandi gruppi internazionali, se vuoi giocare la partita la devi giocare lì.
L’inadeguatezza del governo si è vista anche sull’agricoltura, un campo su cui in teoria dovrebbe trovarsi molto più a suo agio. Oggi anche i prodotti agricoli hanno prezzi determinati sui mercati internazionali, infatti è ormai più di 50 anni che la legislazione e gli aiuti all’agricoltura si sono spostati in Europa (la famosa PAC). Il problema dei piccoli agricoltori sta tutto nel cambiamento dei prezzi della materia prima (i prodotti agricoli) e della filiera. Nel 1970, per ogni 100 euro spesi in alimento: 55 euro retribuivano la materia prima, 10 euro retribuivano l’industria agricola, 18 euro la commercializzazione, 8 euro il settore della ristorazione; 9 euro infine andavano ai prodotti importati. Nel 2022, 50 anni dopo, le importazioni nette si sono annullate ma solo 25 euro retribuiscono la materia prima (meno della metà!), 12 euro l’industria agricola, 44 euro i margini di commercializzazione, 19 euro la ristorazione. Quindi la PAC è riuscita nel suo intento di annullare le importazioni nette ma dà un aiuto proporzionale agli ettari coltivati per cui ovviamente favorisce i grandi coltivatori. Diversamente che negli USA, non sussidia le assicurazioni contro gli eventi avversi. Ecco, se volevi aiutare i piccoli coltivatori dovevi agire lì, in Europa, semplicemente perché in Italia non hai più leve. Hai esaurito le munizioni, perché per gli agricoltori in Italia si fa già tutto il possibile e anche l’impossibile (di non fargli pagare l’Irpef). Invece il governo cosa ha fatto? Prima ha ripristinato l’IRPEF agricola, poi ha fatto retromarcia e con questo ha, per ora, messo una toppa alla rivolta ma di certo non ha risolto nulla.
Ci sono rimaste di mezzo anche le associazioni di categoria che incautamente avevano avvallato (non lo avevano mai fatto con nessun altro governo precedente) la scelta del governo di ripristinare l’Irpef agricolo. Anche nell’agricoltura i giochi si fanno in Europa, quel che fai di diverso in Italia (come in altri paesi) rischia solo di creare delle situazioni paradossali come vietare la coltivazione di mais ogm, che invece è autorizzato in Spagna e Portogallo.
Peraltro in Italia è autorizzato il consumo di mais e soia ogm, ma non la coltivazione, risultato: importiamo ogni anno 2 miliardi di dollari di mais e soia ogm che nutrono le vacche con cui produciamo i nostri formaggi, ma che non possiamo coltivare nei nostri appezzamenti.
Chissà se il governo vorrà discutere in Europa di politica agricola e industriale mettendo in comune nuovi fondi a debito come il PNRR? Da come hanno (non) trattato il tema agricoltura, da come hanno abbracciato con ritrosia il PNRR, da come (non) hanno trattato sul patto di stabilità e sul MES, mi pare di no.
Professore di economia politica all’università degli Studi di Milano, si occupa di disoccupazione e diseguaglianze. E’ stato tra gli anni 2015 e 2018 membro del comitato tecnico di valutazione della Presidenza del Consiglio e consigliere economico del Presidente Gentiloni. Ha scritto un libro sulle riforme di quegli anni dal titolo “le riforme dimezzate, perché su lavoro e pensioni non si può tornare indietro”, EGEA 2018. Fa parte della Presidenza Nazionale di Libertà Eguale.