di Umberto Minopoli
“Esproprio proletario”. È la definizione giusta per l’idea di politica industriale che i Cinque Stelle impongono al governo. Statalizzare un servizio (la gestione della rete autostradale) a discrezione, stracciando i contratti sottoscritti con i privati e senza indennizzi, è una misura sovietica, punitiva. Ed è, dopo Ilva e Alitalia, l’ennesimo atto che congiura a stabilire che l’Italia non è “un paese per investitori”. Ma un paese da cui essi devono fuggire. Perché in preda ad una deriva statalista, populista e demagogica sull’economia e la politica industriale.
Dove propone questa politica (Gran Bretagna) la sinistra incontra disfatte elettorali. Ma c’è un secondo punto decisivo. “Dopo che avete cacciato i privati con quali soldi farete le manutenzioni e gli investimenti sulla rete autostradale?” Il governo dimentica che il problema tragico per noi sono gli investimenti da fare sulle infrastrutture. E che, per farli, c’è bisogno dei capitali privati. Più concessioni occorrerebbero. Altro che meno. Si vuole cambiare qualcosa nel regime delle concessioni? Lo si faccia alla luce del sole. Non con decreti di fine anno. Così è solo un esproprio.
Il governo vuole affidare il servizio a società pubbliche (es. Anas). Che non sono esempio di operatore migliore dei privati. Per un motivo semplice: l’Anas e lo Stato non hanno le risorse per gestire servizi complessi. Dovrebbero farlo solo in partenariato o in pochi casi di surroga se i privati non ci sono. Uno stato indebitato e privo di risorse proprie, come può gestire in proprio l’intera rete autostradale italiana? Una follia. Ipotizzabile solo in testa a populisti disinformati e incompetenti.
Le risorse (poche) che ha lo Stato dovrebbe usarle per creare le infrastrutture, per fare le opere. Da far gestire, in concessione, ai privati. Noi facciamo il contrario.
La revoca, per le concessioni esistenti, deve essere quella prevista e regolata dai contratti. Non una misura introdotta, in corso d’opera, ex novo. Questa è una regola del diritto pubblico e privato di un’economia aperta, non sovietica e di (scusate il bisticcio) di uno Stato di diritto. Dopo il ponte Morandi è facile la demagogia contro i privati. Ricordo che le responsabilità del crollo non sono ancora state accertate. E andrebbero, una volta provate, trattate adeguatamente, penalmente ed economicamente.
Per il resto della rete autostradale sono emerse, a carico di dirigenti di Autostrade, gravi condotte di mancata manutenzione. Ma anche “mancato controllo” dei funzionari e delle strutture dello Stato. Ora si vorrebbe mettere nelle mani di questi funzionari o di strutture pubbliche, senza risorse, l’intera rete autostradale. Addio manutenzione e addio investimenti.
Presidente dell’Associazione Italiana Nucleare. Ha lavorato nel Gruppo Finmeccanica e in Ansaldo nucleare. Capo della Segreteria Tecnica del Ministro delle Attività Produttive tra il 1996 e il 1999. Capo della Segreteria Tecnica del Ministro dei Trasporti dal 1999 al 2001. Consigliere del Ministro dello Sviluppo Economico per le politiche industriali tra il 2006 e il 2009.