di Alfonso Pascale
Nell’ultima bozza del disegno di legge di Bilancio è stato inserito un provvedimento retrivo e propagandistico che mira a riportarci indietro di novant’anni quando Mussolini voleva
Terreni in concessione a chi fa il terzo figlio
Il titolo è emblematico: “Interventi per favorire lo sviluppo socioeconomico delle aree rurali e la crescita demografica attraverso il sostegno alla famiglia”. Ad occuparsene dovrebbero essere non solo i ministri dell’Economia e delle Politiche agricole ma anche quello per la Famiglia e le Disabilità.
L’idea è di prendere una metà dei terreni demaniali agricoli già individuati per essere dismessi e dei terreni abbandonati di cui i Comuni del Sud stanno svolgendo la ricognizione e di concederli gratuitamente per 20 anni a famiglie con terzo figlio. Queste avrebbero la priorità nell’accedere al finanziamento per la creazione di nuova imprenditorialità in agricoltura. Agli stessi nuclei familiari è concesso anche un mutuo fino a 200.000 euro per la durata di 20 anni, ad un tasso pari a zero, per l’acquisto della prima casa in prossimità del terreno assegnato.
La bonifica delle paludi pontine
Un analogo programma fu lanciato dal capo del fascismo in un discorso pronunciato il 26 maggio 1927. Ma Mussolini era ben conscio della difficoltà se disse: “Ruralizzare l’Italia, anche se occorrono miliardi e mezzo secolo”. Si trattava della bonifica integrale: 220 mila ettari da restituire all’agricoltura per iniziativa dell’Opera nazionale combattenti (Onc), sorta in risposta al grido delle trincee: “La terra ai contadini!”.
Nelle paludi pontine si passò da 927 abitanti iniziali a 29.300 nel 1939. Vi si trasferirono 2.953 famiglie friulane, venete, ferraresi e forlivesi. Un’iniziativa
Dalle campagne alle città
L’illusione di un Sud da colonizzare era stata coltivata senza successo già in età giolittiana con le agevolazioni per l’immigrazione di famiglie provenienti da diverse regioni in Basilicata. Il fascismo istituì il Commissariato per le migrazioni interne, incaricandolo di “agevolare il flusso migratorio dalle province del regno con popolazione sovrabbondante verso le province meno abitate del Mezzogiorno e delle isole”. Emanò le leggi contro l’urbanesimo che restarono largamente inapplicate. Ma il flusso migratorio dalle campagne verso le città aumentò costantemente fino al 1937, coinvolgendo in quell’anno 1.487.000 italiani: un livello superato solo alla fine degli anni Cinquanta, in pieno sviluppo industriale.
L’idea mussoliniana di ruralizzare l’Italia restò, dunque, solo come un atto propagandistico senza conseguenze pratiche. Quella vicenda insegnò che un pezzo di terra e una casa non bastano per costruire vivide comunità-territori. Ci vogliono progetti di ampio respiro che promuovano coesione sociale come premessa dellosviluppo. Vanno promosse motivazioni forti che possano indurre a un cambiamento di mentalità tale da sollecitare gli individui e le comunità a volere lo sviluppo, a procurarsi e a utilizzare i mezzi propri e altrui per attuarlo.
La proposta gialloverde di ritorno alla terra è raccapricciante
La proposta dell’attuale governo non solo è meramente propagandistica perché rilancia il mito del “ritorno alla terra” senza affrontare le problematiche del controesodo urbano e della nuova ruralità: un fenomeno complesso che si è avviato dagli anni Settanta e Ottanta a seguito della crisi ecologica e che richiede una politica territoriale e
Nel Sud servono innovazione sociale e nuove tecnologie
Per ripopolare le zone interne del Mezzogiorno occorrono percorsi di educazione e formazione all’intraprendere in modo innovativo. Si tratta di produrre un’innovazione sociale che è tutt’uno con il salto tecnologico da compiere. Vanno tenuti insieme digitale, robotica, bioeconomia che si fonda sull’utilizzo multifunzionale di risorse biologiche per la produzione di alimenti, mangimi, energia, ecc.
L’agricoltura di precisione è oggi utilizzabile a tutte le altitudini e in tutti i settori. La visione IoT (Internet of Things, ovvero internet degli oggetti) è applicabile nell’agroalimentare, nel turismo, nell’artigianato, nei servizi socio-sanitari, nell’industria culturale. La rivoluzione tecnologica in atto può aprire una nuova prospettiva allo sviluppo dei territori italiani e alla loro presenza nei mercati internazionali.
Nel settore agricolo, la sfida del digitale è stata raccolta in quelle attività produttive che si svolgono in ambienti “protetti”, come le serre, le stalle, le cantine, gli oleifici, i laboratori di trasformazione, dove è possibile creare condizioni pienamente controllabili.
Ben diverso è il caso di quelle attività agricole che si attuano in ambiente aperto e che sono soggette alla variabilità climatica ed alle relative risposte degli elementi territoriali: i versanti, le esposizioni, il suolo con le sue caratteristiche strutturali e di gestione, la struttura orografica, le sistemazioni, ecc, che richiedono continui aggiustamenti gestionali per la mutevolezza delle condizioni e la conseguente tempestività operativa.
Ma considerando complementari i due nuovi paradigmi dell’agricoltura di precisione e della digitalizzazione e alta tecnologia, anche per questo tipo di attività agricole si possono avere risultati concreti. C’è bisogno di creare una interferenza di territorio fra agricoltura, servizi, sistema educativo e della ricerca.
Il governo offre protezionismo e diffida della scienza
Ci vogliono politiche del tutto opposte a quelle che vengono indicate oggi dal governo, ispirate ad un rozzo protezionismo e ad una visione diffidente verso l’innovazione tecnologica e la conoscenza scientifica. L’agricoltura italiana non ha solo bisogno dei droni del ministro Salvini e delle forze di polizia per prevenire i crimini nelle campagne. Anche quelli sono utili, non c’è dubbio.
Ma ancor più al settore primario necessitano imprenditori agricoli capaci di pilotare, essi, i droni per misurare le caratteristiche, le potenzialità e le difficoltà delle proprie aziende. E necessitano istituzioni capaci di trasformare una forte domanda scientifica di ricerca in infrastrutture tecnologiche, opportunità professionali e lavori innovativi. Se c’è tutto questo ha senso valorizzare a fini agricoli terreni demaniali inutilizzati e terreni privati abbandonati.
Presidente del CeSLAM (Centro Sviluppo Locale in Ambiti Metropolitani). Dopo una lunga esperienza di direzione nelle organizzazioni di rappresentanza dell’agricoltura, nel 2005 ha promosso l’associazione “Rete Fattorie Sociali” di cui è stato presidente fino al 2011. Docente del Master in Agricoltura Sociale presso l’Università di Roma Tor Vergata, si occupa di sviluppo locale e innovazione sociale. Collabora con istituzioni di ricerca socioeconomica e di formazione e con riviste specializzate. Ultima pubblicazione: CYBER PROPAGANDA. Ovvero la promozione nell’era dei social (Edizioni Olio Officina, 2019).