Merito e bisogno, binomio da reinterpretare
Per governare il cambiamento, è indispensabile perseguire quella che nella Conferenza di Rimini del PSI del 1982 – 36 anni fa – venne definita “l’alleanza tra meriti e bisogni”.
I cambiamenti intervenuti, però, ne impongono una radicale reinterpretazione. Se l’atteggiamento soggettivo che ordinariamente corrisponde al merito è quello della “padronanza” sulla situazione in cui si trova l’individuo, l’atteggiamento che corrisponde al bisogno è quello della ricerca di protezione. Le due equazioni (merito = padronanza; bisogno = protezione) raramente si incontrano allo stato puro: più spesso si ha a che fare con un mix dell’uno e dell’altro. Che si mescolano in modo inversamente proporzionale: maggiore è il bisogno-domanda di protezione, minore sarà l’esaltazione del merito-padronanza. E viceversa.
La rivoluzione tecnologica e digitale modifica il rapporto tra merito e bisogno, rendendolo più dinamico e variabile: prima ancora che a due diverse aree sociali – cui allude il concetto di alleanza della Conferenza di Rimini – i due termini corrispondono a due diverse esigenze che si ritrovano variamente combinate in ogni individuo, in ogni periodo della sua vita, in ogni sua attività.
Ecco perché si deve oggi perseguire non più la semplice alleanza tra merito e bisogno, ma il loro costante intreccio.
I cittadini che avvertono di più l’esclusione sono coloro che si sentono più vicini alla frontiera dell’inclusione, senza mai riuscire a superarla. I giovani, innanzitutto. Di qui l’esasperazione e l’ira sociale. I riformisti devono farne derivare l’urgenza di tracciare e rendere agibili percorsi che consentano a questi “penultimi” di oltrepassare la barriera dell’inclusione. Riaprendo la speranza anche per gli “ultimi”.
La sapienza riformista di fronte alla rivoluzione tecnologica e digitale si misura sulla capacità di cogliere e mettere a frutto le nuove interazioni tra spinte alla padronanza e richieste di protezione. Ogni scelta di governo, ogni iniziativa di riforma, deve essere sottoposta al “test dell’intreccio tra merito e bisogno”. Se infatti l’alleanza poteva essere perseguita con piattaforme e iniziative programmatiche distinte, anche nei tempi di realizzazione, perché separatamente orientate a rispondere alla domanda del bisogno o alla esaltazione del merito, ora l’intreccio dei due termini impone coerenza interna ad ognuna delle riforme realizzate.
Irresponsabilità e conservatorismo
Ancora una volta, si tratta di un compito molto difficile. Oggi sembra che tutte le domande e le attese, sia quelle medie della società, sia quelle espresse dalle preferenze individuali, inclinino verso la protezione a scapito della padronanza.
La scommessa riformista sta nello spostare progressivamente l’equilibrio a favore della padronanza, che per definizione comporta qualche rischio, rendendo evidenti i suoi concreti vantaggi; a scapito della protezione, che presenta significativi svantaggi, anche quando porta con sé qualche “comodità”.
Compito arduo, ma non impossibile, se i riformisti escono dalla posizione difensiva nella quale (si) sono rinchiusi. Anche il campo avverso, infatti, è attraversato da profonde contraddizioni, proprio a partire dal suo rapporto con la rivoluzione tecnologica e digitale: esaltano la libertà di cui possono godere sul web, fino ad usarla in modo distorto – con minacce e volgarità -, sottraendosi ad ogni “autorità”, anche quando basata su scienze e competenze accertate e verificate. Ma – estremo paradosso- contrastano le innovazioni che sono il portato della stessa rivoluzione di cui si compiacciono, rifiutano di riconoscere le potenzialità che esse contengono per migliori soluzioni e chance di vita.
E finiscono sempre e inevitabilmente per chiamare lo Stato (e la politica) a rispondere in quanto responsabile e garante di tutto e per tutti. Sfrenato godimento della libertà “virtuale” fino alla irresponsabilità e all’anarchismo, si sposano così con un conservatorismo arcigno.
Come se le occasioni offerte dall’informatica dovessero essere usate per scegliere i candidati sulla piattaforma Rousseau e per “aprire il Parlamento come una scatola di sardine”, ma totalmente rifiutate quando si tratti di applicarle al lavoro, al commercio, alla sicurezza, all’istruzione. La pretesa è quella di comprimere la rivoluzione tecnologica e digitale dentro la dimensione virtuale, limitandone uso ed effetti al regno dell’arbitrio e dell’inganno nel quale – secondo questa visione – si identifica la politica.
Si tratta di una contraddizione profonda, alla lunga non sostenibile. Che apre al riformismo del XXI secolo un vasto campo di iniziativa, volto ad utilizzare a fini di riduzione della diseguaglianza, dell’incertezza, della paura e del disagio sociale le enormi potenzialità della rivoluzione tecnologica in atto, così come hanno saputo fare i riformisti del XX secolo, di fronte alle sconvolgenti innovazioni della rivoluzione fordista.
Mi sembra che nelle 11tesi questi argomenti siano molto poco sviluppati e che quindi siano in questo senso carenti. È vero che cominciano ad esserci buoni libri, ma non mi pare che nel PD si legga molto, mentre gli articoli passano più facilmente.