L’immigrazione è una componente strutturale della globalizzazione.
Se emergenza è un accadimento improvviso, non prevedibile, che ha un inizio e una fine, allora l’immigrazione non è una emergenza. E’ una componente strutturale della globalizzazione. Ed è quella più carica di implicazioni sociali, culturali e civili.
Se non governata, è in grado di determinare insicurezza, paura e sofferenze sociali, soprattutto presso la parte più debole – per livello di reddito, di istruzione e di relazioni – della popolazione dei Paesi occidentali. Nell’insicurezza diffusa, l’angoscia di fronte al proprio futuro si rovescia in ostilità nei confronti dello straniero.
Si deve riconoscere che – nel governo di questo fenomeno – i riformisti hanno sostanzialmente fallito: non solo perché si tratta di un’impresa difficilissima (la buona immigrazione serve all’Occidente e ai Paesi di origine, ma separare quella buona da quella cattiva richiede non comuni qualità dell’azione di governo globale, nazionale e locale), ma anche e soprattutto perché i riformisti non si sono dotati per tempo di una autonoma visione di fondo sul problema. Finendo così per oscillare tra la rincorsa alle posizioni di chiusura dei nazional populisti (nessuna accoglienza e rimandiamo indietro chi è già tra noi) e l’estremismo dell’apertura senza limiti (chi arriva va accolto, punto e basta).
Ne è scaturita la sostanziale ininfluenza e invisibilità – agli occhi di chi sente l’immigrazione come una minaccia – della posizione riformista: gran parte del successo di Trump, di Brexit, della Lega in Italia, di Le Pen in Francia, di AFD in Germania, deriva da questo fallimento.
Linee per un’azione di governo dei riformisti
La costante ricerca di un compromesso tra il diritto dei residenti alla sicurezza e alla tutela del benessere acquisito e il diritto dei migranti deve ispirare l’azione di governo dei riformisti. Contrastando la chiusura unilaterale dei nazional populisti, ma anche rifuggendo dalla indiscriminata apertura di un cosmopolitismo indifferente (e spesso arrogante) alle sofferenze provocate.
Non è vero che i riformisti più coerenti non abbiano compreso per tempo questa esigenza:
“Vogliamo assicurare, attraverso l’introduzione di un sistema di ammissione a punti, che avremo gli immigrati di cui la nostra economia ha bisogno, ma non di più. Con il ritorno della crescita vogliamo vedere crescenti livelli di occupazione e di salario, ma non crescente immigrazione… Australia, Nuova Zelanda, Canada, Gran Bretagna e Danimarca hanno adottato strategie di questo tipo. Età, sesso, stato civile, istruzione, specializzazione, conoscenza della lingua, della cultura, dell’ordinamento costituzionale del Paese (e impegno al suo rispetto), si combinano in un punteggio, o valutazione, dell’ammissibilità dei candidati… Si tratta di una politica migratoria selettiva:.. perché venire in Italia, è un’opportunità, non un diritto”.
È il testo di un documento presentato nel lontano ottobre 2010 – primo firmatario Alessandro Maran – all’Assemblea nazionale del Partito Democratico, che lo rifiutò.
Oggi dobbiamo mettere rimedio a quell’errore. Secondo larga parte della sinistra, questo approccio risulterebbe subalterno a quello dei nazionalpopulisti. Ma è vero il contrario: “Poiché buona parte dell’immigrazione è di lungo periodo o permanente, deve essere in grado di acquisire pieni diritti, politici e di cittadinanza; …l’accesso alla cittadinanza ai nati da residenti stranieri legalmente soggiornanti e ai minori cresciuti e formati in Italia”.
La politica dell’immigrazione dei riformisti, secondo questo indirizzo, sarebbe quindi in grado di:
- reintrodurre la possibilità di immigrazione economica, la cui assenza ha gonfiato oltre ogni ragionevolezza il fenomeno dei richiedenti asilo.
- accogliere con criteri universalistici solo i veri richiedenti asilo, il cui diritto va verificato, secondo procedure e in condizioni di piena garanzia dei diritti umani, nei Paesi di transito, prima che giungano in Italia.
- sottrarre alla criminalità che organizza gli scafisti gran parte del lucroso traffico di esseri umani. Gli immigrati legali possono viaggiare sui mezzi sicuri: non si tratterebbe più̀ di riceverli ed ospitarli, ma di andare a prenderli.
Piena sovranità europea sui confini
Questa strategia, aprendo un canale regolare di ingresso in Italia e in Europa, sarebbe di per sé in grado di ridurre le dimensioni dell’immigrazione irregolare.La sua attuazione implica la gestione europea del fenomeno.
L’attuale governo italiano – perseguendo l’alleanza con Paesi che sostengono la totale chiusura dei loro confini – ha condotto la legittima richiesta italiana di impegno europeo in un vicolo cieco. Unico risultato ottenuto: trasformare in volontaria qualsiasi scelta di accoglienza di migranti, in precedenza obbligatoria.
Dovrà essere il governo dei riformisti a sostenere credibilmente la via della costruzione di una piena sovranità dell’Unione europea sui propri confini. Costituita questa precondizione della sovranità, un’apposita Agenzia europea potrà – con l’accordo dei governi dei Paesi di origine e di transito e con la collaborazione delle organizzazioni internazionali – agire per selezionare i migranti economici e verificare preventivamente la presenza delle condizioni per l’accoglimento delle richieste di asilo.