La pressione fiscale diminuisce, ma non è percepita
Nel corso degli ultimi anni la pressione fiscale – somma di tutti i tributi e contributi, in rapporto al Pil – è leggermente diminuita, in Italia, pur rimanendo alta nella comparazione con gli altri maggiori Paesi dell’Area euro. Una delle ragioni che spiega la bassa percezione di questo risultato dell’azione di governo dei riformisti è da ricercare nel contemporaneo andamento della bolletta energetica (elettricità, gas). E’ la conseguenza di un approccio riformista incompleto. Denuncia:
- un deficit di concretezza: alla fine, per il cittadino contribuente, rileva la somma di ciò̀ che paga mensilmente per tributi, contributi e tariffe dei servizi fondamentali;
- un’insufficiente capacità̀ di valutare ogni riforma per il complesso dei suoi effetti sulla società: quelli positivi attesi (belle e buone le fonti rinnovabili); e quelli altrettanto attesi, ma certamente impopolari e forse negativi (chi paga per la loro accelerata espansione?);
- un’insufficiente attenzione all’esigenza di garantire massima trasparenza dell’azione di riforma.
I costi che pesano sulle bollette
Il progressivo sviluppo delle fonti rinnovabili è stato perseguito con un meccanismo di incentivazione a carico della bolletta energetica e non della fiscalità generale. Se questo ha avuto l’effetto positivo di aumentare la produzione da fonti rinnovabili nel nostro Paese, d’altra parte ha fatto sì che le bollette, nonostante la diminuzione dei prezzi delle materie prime, non abbiano subito significative riduzioni; anzi ora, con il rialzo del prezzo del petrolio, rischino di aumentare significativamente. Anche perché, nel frattempo, sulla bolletta energetica hanno finito per pesare ulteriori costi, quali quelli relativi a:
- il mantenimento in equilibrio del sistema: le fonti rinnovabili più diffuse sono discontinue – non programmabili e quindi hanno bisogno di avere una forma di “riserva” che renda sicura l’erogazione anche in presenza di fattori climatici avversi. In attesa di significativi progressi nel campo degli accumulatori, questo avviene tenendo in “stand-by”, pronte ad intervenire, alcune centrali tradizionali, che quindi vanno pagate ed il cui costo viene nei fatti a sommarsi a quelli diretti;
- gli energivori: ci sono imprese per le quali l’energia è uno dei fattori principali della produzione. Per loro, costi dell’energia maggiori equivale a perdita di competitività. Siccome la legge europea (giustamente) vieta gli aiuti di Stato, se si riduce il costo per qualcuno, questo maggiore costo viene a scaricarsi su tutti gli altri utenti, aumentando quindi le loro bollette;
- la riforma del sistema tariffario: nel passato al crescere delle fasce di consumo, gli oneri indiretti crescevano in proporzione. Oggi, in vista del possibile incremento dei consumi elettrici, si sviluppano forti pressioni perché non sia più così, aumentando quindi la componente che viene caricata sui piccoli consumatori.
Tutto questo ha finito per influenzare pesantemente le dinamiche della bolletta energetica, anche perché si è sottovalutato l’impatto complessivo dell’insieme delle misure, che pure, prese ad una ad una, avevano un senso…
Alcune correzioni necessarie
Si impone una correzione. A partire dalla revisione e dal temperamento di alcune delle misure prese:
- è possibile un moderato trasferimento alla fiscalità generale di parte delle misure di incentivazione pregresse, trasformandole così da una sorta di “tassazione occulta” in una politica esplicita nazionale a favore dell’ambiente e della sostenibilità;
- gli sgravi alle imprese energivore vanno ridisegnati, limitandoli solo ad imprese che effettivamente operano in misura importante sul mercato internazionale;
- vanno introdotti gli elementi di gradualità necessari ad evitare che la spinta agli investimenti volti ad incrementare la diffusione del vettore elettrico vada a sommarsi ai costi già presenti in bolletta, incrementandone ulteriormente gli importi.
Più in generale, i riformisti debbono assumere impegno formale ad esplicitare e rendere pubbliche le conseguenze di ogni intervento legislativo e/o regolatorio sulle bollette, analiticamente, per ciascuna fascia di consumo. Ogni cittadino/impresa deve essere messo in grado di capire quali saranno le conseguenze sulle proprie bollette di ogni singola proposta e soluzione adottata.
La bolletta energetica costituisce un costo fisso che incide fortemente sulla spesa mensile delle famiglie italiane a reddito medio-basso. Diminuirla significativamente – data l’elevata propensione al consumo di queste famiglie – consente di migliorare il loro benessere, liberando quote di reddito per consumi oggi preclusi perché troppo costosi (istruzione; sanità; viaggi).
Luci e ombre dell’Ecobonus
Dai primi anni del 2000 è stata introdotta, in Italia, una fortissima incentivazione fiscale per le famiglie che investono sul risparmio energetico della propria casa (Ecobonus). Una misura che ha riscosso un grande successo, sia sul terreno economico (sommandosi alle detrazioni Irpef per ristrutturazioni edilizie, ha sostenuto il debole settore edile anche durante la Grande Recessione), sia sul terreno della tutela dell’ambiente (gli edifici risanati si contano ormai a centinaia di migliaia, in tutto il Paese).
Avrebbe dovuto risultare evidente, però, un limite insito nella struttura stessa di questo intervento: la sua sostanziale inapplicabilità ai grandi condomini costruiti negli anni 50-60 e 70 del novecento, dove abitano le famiglie meno dotate sia sul piano del reddito sia sul piano della ricchezza patrimoniale. Si tratta infatti di edifici “calorifero a cielo aperto”, responsabili di larga parte dell’inquinamento delle città, dove il riscaldamento e il raffreddamento costano moltissimo.
È vero che nella parte finale della legislatura il governo Gentiloni è riuscito a porre rimedio a questo limite, ma è almeno altrettanto vero che il ritardo con cui si è provveduto segnala un deficit di coerenza riformista: il mix di merito/padronanza e bisogno/protezione non era ben calibrato nel momento in cui la riforma è stata concepita, sicché un grande volume di risorse pubbliche è stato impiegato per uno scopo buono, ma in modo socialmente selettivo, a favore di chi sta meglio.