Secondo Formiche, Virginia Raggi e Chiara Appendino sono «le protagoniste di queste elezioni amministrative. Le due giovani pasionarie a 5 Stelle rappresentano la vera novità nel panorama della politica nazionale e anche all’interno del loro stesso Movimento che si conferma alternativo al Pd quando il centrodestra si presenta diviso» (Elezioni comunali, chi ha vinto e chi ha perso a Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna). Tuttavia, va detto anche che su 23 capoluoghi scrutinati, il M5s arriva al ballottaggio solo in due città (Roma e Torino). Nelle altre, o non esiste o arriva terzo. Per la cronaca, a Milano non esiste, a Napoli neppure, e nell’85% dei comuni non ha neppure un suo candidato. Formiche sottolinea anche l’exploit di Roberto Giachetti «che nonostante le scorie del Pd romano e tutti i problemi ereditati (a partire dalle dimissioni dell’ex sindaco dem Ignazio Marino) supera la soglia del 24% ma soprattutto supera la candidata della destra Giorgia Meloni, staccata di 4 punti e ferma al 20,4%».
Resta il fatto che le elezioni comunali contano quello che contano. È un voto molto importante per scegliere il futuro della propria città, ma non è un voto sul Governo. Matteo Renzi lo ha ripetuto in tutte le salse. Anche oggi il premier si augura che gli italiani «votino per far funzionare le loro città»: «È quello che importa veramente, per quello si vota». «Per dare addosso a me c’è tempo», osserva (E dopo il voto Renzi ammette: era un test difficile. I grillini? Vediamo che cosa sanno fare). Lo aveva ribadito anche nella sua chiacchierata con Claudio Cerasa sul Foglio: «Nessun segnale politico. Si vota per i sindaci, punto. E si vota con coalizioni diverse, persino tra Roma e Milano» (“O cambio l’Italia o cambio mestiere”. Intervista a Renzi).
Ma se le elezioni comunali, come sostiene Claudio Cerasa, «contano quello che contano, cioè poco, quasi nulla», va detto però che, «alcune cose contano e non c’è dubbio che specifiche dinamiche avranno un riflesso nei prossimi giorni» (Comunali chi? Cinque semplici punti per non sbadigliare nella giornata elettorale). Ne riprendo alcune, in forma di domanda:«Con chi starebbe Berlusconi se la sfida dovesse essere tra un centrosinistra di governo e un movimento anti sistema?»; «davvero i Podemos-Perdemos pur di non sostenere il Pd sono pronti a sostenere i candidati di Grillo e Salvini?»; e ancora (è il caso di Milano) «in presenza di un candidato valido del centrodestra, il centrosinistra è davvero in grado di conquistare i famosi elettori moderati?». Ne riparliamo tra 15 giorni.
Intanto, anche Frank Bruni sul New York Times è tornato a ricordarci quel che conta davvero: «In October there will be an epochal vote about a constitutional change that would reconfigure Italy’s Parliament, and Renzi has staked his government on its success» (Italy Feels Our Pain). Questo è «il cuore della battaglia dei riformisti» e credo abbia ragione Renzi: «Non vedo ripercussioni politiche in nessuno dei due campi, dopo le amministrative. La realtà è che i conti dentro il centrodestra e dentro il Movimento 5 stelle si dovranno fare dopo il referendum, non dopo le amministrative. Berlusconi si accinge a votare ‘no’, con una scelta talmente incomprensibile che ha costretto voi del Foglio a una campagna per fargli cambiare idea. E i grillini, nati per rivoluzionare il Palazzo, si accingono a una dura battaglia per difendere i numeri del Parlamento più grande e più costoso dell’occidente. Sono i difensori del bicameralismo paritario e dei poteri delle regioni, oltre che degli stipendi regionali. E quelli che volevano combattere la Casta adesso hanno come obiettivo di salvare il Cnel. Se vinceranno i ‘sì’ al referendum allora sì che la classe dirigente del Movimento 5 stelle avrà fallito strategia» (“O cambio l’Italia o cambio mestiere”. Intervista a Renzi).
Segnalo, a questo proposito, il puntuale articolo di Giovanni Innamorato dell’Ansa che «quale giornalista parlamentare, ha seguito tutte le 173 sedute del Parlamento (tra Commissioni ed Aula di Senato e Camera) nelle quali sono state esaminate e votate le riforme, e da 24 anni osserva la vita reale del nostro Parlamento»: Giovanni Innamorati da cronista smonta le obiezioni alla riforma costituzionale. Segnalo, inoltre, il testo integrale dell’articolo di Civiltà Cattolica sulla riforma costituzionale e la lettera aperta del prof. Roberto Bin ai professori di diritto costituzionale che hanno promosso l’appello diffuso il 22 aprile 2016: Sulla riforma costituzionale. «Lo riconosco, non amo gli appelli – scrive il prof. Bin – per quanto si propongano di essere pacati e cerchino di mostrarsi riflessivi, finiscono con tracciare scorciatoie eccessivamente semplificanti verso un risultato che è precostituito. Ognuno è libero di scegliere se essere a favore o contro, ma impegnare la propria etichetta di “costituzionalista” significa rivestire la propria scelta del peso della veste professionale che si indossa. Talvolta è giusto farlo, quando si avverta il rischio di scelte davvero pregiudizievoli per la vita costituzionale del Paese della cui gravità magari i “non tecnici” non avvertono tutto il peso. Ma devono essere questioni gravi e specifiche, chiaramente argomentate sul fondamento della violazione dei principi costituzionali. Altrimenti si rischia di fare come quel giudice della Corte suprema, ritratto in una vecchia vignetta americana, che avvicinandosi all’orecchio del collega gli chiede sottovoce: “Non ti capita mai uno di quei giorni in cui tutto ti appare incostituzionale?”».
Già senatore del Partito democratico, membro della Commissione Esteri e della Commissione Politiche Ue, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Parlamentare dal 2001 al 2018, è stato segretario regionale dei Ds del Friuli Venezia Giulia.