di Danilo Di Matteo
La prima metà del Novecento è stata attraversata, nel mondo cattolico, da un vivace dibattito sulla validità della nozione di “guerra giusta”. Saranno papa Giovanni XXIII (si pensi ad esempio al suo testamento spirituale, l’enciclica Pacem in Terris, del 1963) e il Concilio Vaticano II a sancire definitivamente il ripudio delle armi.
Nell’era atomica, caratterizzata dalla drammatica possibilità dell’autodistruzione completa, dell’estinzione del genere umano e delle altre forme di vita sul pianeta, la guerra, al di là di ogni motivazione e di ogni fine, non è una strada percorribile.
Come ricordava Alberto Moravia, se la famiglia sopravvive grazie al tabù dell’incesto, l’umanità, d’ora in avanti, può sopravvivere solo grazie al tabù della guerra: non si fa.
Ed è noto come, fra i gruppi scaturiti dalla Riforma protestante, alcuni, come i Quaccheri, abbiano da sempre posizioni di assoluta nonviolenza. E negli ultimi decenni dell’Ottocento si verificarono incontri significativi e fecondi proprio nella Russia meridionale, dove si erano stabiliti gruppi di mennoniti, grazie ai quali, in alcuni ambienti rurali, si diffuse “l’abitudine di leggere e meditare ogni giorno la Bibbia”. Erano gli “stundisti” (dal vocabolo tedesco Stunde, “ora”, l’ora riservata alla Bibbia, appunto). A essi si unì in seguito una parte dei molocani, “un gruppo separatosi dalla chiesa ortodossa”, contraddistinto, tra l’alto, da un marcato atteggiamento pacifista, lungo il solco del Sermone di Gesù sul monte.
È nella memoria collettiva, poi, il rigetto da parte di milioni di persone, soprattutto delle giovani generazioni, della “guerra del Vietnam”. Lì, però, accanto al rifiuto delle armi, vi erano spesso valutazioni di tipo ideologico sull’ “imperialismo americano”.
Dinanzi alle bombe, ai missili e ai carri armati di Putin e all’invasione dell’Ucraina, invece, mi sembra di scorgere, sia nei manifestanti russi sia nell’opinione pubblica soprattutto europea, qualcosa d’altro: non è giusto perdere la vita in questo modo.
Vite spezzate o mutilate, sogni infranti, possibilità di autorealizzazione negate, per sé e per “il nemico”, tutto questo viene vissuto come inaccettabile. Non solo, non tanto il tabù della guerra nell’era nucleare, quanto il disgusto per essa.
Troppe volte, è vero, restiamo indifferenti al cospetto delle mille guerre “regionali” o “locali” che si svolgono altrove, “lontano”. Ma in tale nuova sensibilità che emerge dalla tragedia ucraina possiamo intravedere un seme prezioso.
Psichiatra e psicoterapeuta con la passione per la politica e la filosofia. Si iscrisse alla Fgci pensando che il Pci fosse già socialdemocratico, rimanendo poi sempre eretico e allineato. Collabora con diversi periodici. Ha scritto “L’esilio della parola”. Il tema del silenzio nel pensiero di André Neher (Mimesis 2020), Psicosi, libertà e pensiero (Manni 2021), Quale faro per la sinistra? La sinistra italiana tra XX e XXI secolo (Guida 2022) e la silloge poetica Nescio. Non so (Helicon 2024) È uno degli autori di Poesia e Filosofia. I domini contesi (a cura di Stefano Iori e Rosa Pierno, Gilgamesh 2021) e di Per un nuovo universalismo. L’apporto della religiosità alla cultura laica (a cura di Andrea Billau, Castelvecchi 2023).