di Alessandro Maran
Da tempo le notizie sull’andamento della guerra in Ucraina si sono fatte più cupe alimentando altrettanto fosche previsioni sul suo esito.
Da un certo punto di vista, l’Ucraina se la sta cavando piuttosto bene. La Russia ha cominciato la guerra nella regione ucraina del Donbass nel 2014, ben prima dell’invasione su vasta scala del 2022, ma come ha fatto notare a Bianna il tenente generale in pensione Ben Hodges, ex comandante dell’esercito americano in Europa, Mosca controlla tuttora solo circa il 20% del territorio ucraino (https://edition.cnn.com/…/gps1117-trumps-policy-on-ukraine).
Guardando le cose da un altro punto di vista, la situazione non è buona per Kiev. Quest’anno la Russia ha fatto progressi nell’est dell’Ucraina. Gli esperti hanno notato la difficoltà dell’Ucraina a reclutare e arruolare abbastanza nuovi soldati. Al Brussels Signal, Gabriel Elefteriu contempla lo scenario peggiore: “Il rischio più grande è che l’Ucraina diventi per l’Europa il problema insolubile, purulento, eterno e una fonte ricorrente di conflitto con una grande potenza militare; una terra dilaniata dalla guerra che non riesce più a riprendersi, intrappolata in una spirale di risentimento, corruzione e violenza, prosciugata di talenti e che vive della carità dei suoi sostenitori; e forse un esportatore involontario di guai, tra cui vasti flussi di rifugiati, tra i suoi vicini. Qualcuno potrebbe trovare in questo un parallelismo con il modo in cui la Palestina è vista da molti stati arabi” (https://brusselssignal.eu/…/will-ukraine-become…/).
Due articoli recenti raffigurano la società ucraina in un limbo. Sulla London Review of Books, James Meek scrive della stanchezza della guerra: “Vladimir Putin è ancora il nemico e non mostra segni di sconfitta; ma sempre di più, la guerra stessa, lo strumento che avrebbe dovuto liberare l’Ucraina dalla crudeltà di Putin, è anch’essa il nemico. C’è ancora riverenza per l’esercito ucraino, per i suoi coraggiosi soldati, come un nobile ideale, ma è cresciuta la percezione che l’esercito sia incatenato all’egoismo e alla stagnazione del lato regressivo dell’Ucraina, alla corruzione, all’inumanità burocratica e al clientelismo di provincia che fermentarono negli anni ’90 con la combinazione della decomposizione tardo sovietica e del biznes estero” (https://www.lrb.co.uk/…/james…/nobody-wants-to-hear-this).
Sulla New York Review of Books, Tim Judah scrive che l’Ucraina sembra essere stata divisa tra persone che arrancano attraverso le realtà della guerra e altre, più lontane dal fronte, che sembrano (almeno esteriormente) indifferenti. Per quanto riguarda la direzione in cui stanno andando le cose, Judah scrive che il presidente russo Vladimir Putin “ha iniziato qualcosa che non è in grado di finire, ma la Russia ha una certa capacità di resistenza, almeno per il futuro prevedibile. I leader occidentali non sanno come convincere l’Ucraina ad accettare di congelare le linee del fronte senza impegnare le proprie truppe a difenderla, e i politici anti-ucraini stanno guadagnando terreno dalla Germania agli Stati Uniti. Zelensky vuole costringere Putin al tavolo delle trattative da una posizione di forza, ma ora l’Ucraina è sulla difensiva. Nel frattempo, molti ucraini non desiderano più combattere. Per come stanno le cose, però, se i combattimenti cessassero domani, sia gli ucraini che i russi inizierebbero immediatamente a prepararsi per il round successivo”(https://www.nybooks.com/…/12/05/ukraine-divided-tim-judah/).
Già senatore del Partito democratico, membro della Commissione Esteri e della Commissione Politiche Ue, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Parlamentare dal 2001 al 2018, è stato segretario regionale dei Ds del Friuli Venezia Giulia.