di Stefano Ceccanti
In questi giorni viene posta da più parti una legittima domanda, che è la seguente: come è possibile che il Mes sia cambiato, consentendo di espungere le condizionalità, a parte quella di finalità di rifacimento dei sistemi sanitari, senza che siano cambiati i Trattati? E’ solo una decisione politica? Se sì, come si può pensare che la volontà politica possa comunque prevalere sulle norme scritte?
Questa domanda, o meglio questa serie di domande, se ne trascina fatalmente un’altra: chi ci assicura. specie nel caso si tratti di una mera volontà politica, che le condizionalità all’improvviso non resuscitino?
Provo a spiegare le ragioni per le quali la tesi dell’assenza di condizionalità, tranne quella sanitaria, decisa dal Consiglio dei Governatori il 15 maggio, ha un fondamento giuridico e non solo politico.
La ‘norma-madre’ del diritto europeo da cui partire è l’art. 136.3, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea:
“Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”.
Il tono della norma, soprattutto l’aggettivo ‘rigorosa’, viene spesso invocato sia dai sostenitori di posizioni più rigide sia da coloro che ne sono intimoriti. Pur tuttavia, si tratta comunque di una norma generica, suscettibile di essere sviluppata diversamente, a fisarmonica, a seconda delle norme ulteriori con cui essa venga fatalmente concretizzata.
E’ questo il caso del Trattato Internazionale Mes, dove troviamo all’articolo 3 la ‘norma-figlia’ per noi rilevante:
“L’obiettivo del MES è quello di mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto, a beneficio dei membri del MES che già si trovino o rischino di trovarsi in gravi problemi finanziari, se indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e quella dei suoi Stati membri”.
La norma-figlia riprende l’aggettivo rigorose, ma lo sviluppa nel senso di una proporzionalità a seconda dei vari strumenti possibili, proporzionalità che prima ribadisce con le stesse parole nell’articolo 12 e che poi concretizza in tre tipologie: assistenza finanziaria precauzionale sulla base di linee di credito condizionali o linee di credo rafforzate (art. 14) e prestiti a paesi in crisi collegati a un programma di aggiustamento macroeconomico. (art. 16).
Le linee di credito rafforzate vengono stabilite tramite un patto alle condizioni procedurali dell’articolo 13 comma 3: in pratica il vincolo è solo quello di raggiungere un’intesa tra il Paese che richiede e la Commissione europea su affidamento del Consiglio dei Governatori del Mes, in quanto i vincoli appaiono volutamente scritti in modo fluido (conformità alle “misure di coordinamento delle politiche economiche previste dal TFUE” e contenuto del protocollo conforme a “gravità delle debolezze da affrontare” e allo “strumento finanziario scelto”).
Trattandosi di accordo bilaterale, esso non appare poi suscettibile di revisione unilaterale. Ma c’è di più, oltre a questa riflessione giuridica. Il 15 maggio, come già segnalato, il Consiglio dei Governatori del Mes ha già approvato nella sua autonomia la linea di credito anti Covid, Pandemic Crisis Support, che ha caratteristiche ben precise, ossia la sola condizione relativa alla natura sanitaria delle spese da sostenere. Qualsiasi Stato decida di fare un contratto su quella linea di credito, la sottoscrive come tale. Come per qualsiasi contratto di credito, è semplicemente inimmaginabile che il creditore si inventi poi clausole sul debitore non presenti al momento della firma del contratto stesso. Di fronte a qualsiasi tribunale, subirebbe perdite certe.
Quindi non è che la politica abbia derogato ai Trattati, sono i Trattati che già consentono questa flessibilità.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.