di Enrico Morando
Vedremo quali saranno le concrete forme di finanziamento del “Recovery Fund” su cui l’Eurogruppo “è d’accordo a lavorare”, ma si può già tranquillamente sostenere che la riunione di giovedì sera ha avuto un esito positivo.
Il comunicato finale recita testualmente: “l’Eurogruppo è d’accordo a lavorare ad un Recovery Fund per sostenere la ripresa. Il Fondo sarà temporaneo e commisurato ai costi straordinari della crisi e aiuterà a spalmarli nel tempo attraverso un finanziamento adeguato. Soggetti alla guida dei leader, le discussioni sugli aspetti pratici e legali del fondo, la sua fonte di finanziamento, e strumenti innovativi di finanziamento, coerenti con i Trattati, prepareranno il terreno per una decisione”.
Le parole chiave sono “strumenti innovativi di finanziamento” e il riferimento alla “coerenza con i Trattati” non è affatto una limitazione, perché i Trattati consentono l’emissione di titoli di debito comune.
L’ho scritto qualche giorno fa e lo ribadisco: finché non arriveremo ad un vero e proprio Bilancio dell’Euroarea – entrate e spese proprie, entrambe decise da organismi comunitari – non potremo dire di aver raggiunto lo scopo. Ma il passo, questa volta, è davvero grande e punta diritto all’obiettivo giusto.
Vedremo ora tempi e modalità della pratica attuazione dell’accordo (sono molto rilevanti i primi), su cui è necessario il massimo impegno politico e tecnico, perché in questo campo il diavolo sta spesso dei dettagli.
Ma possiamo già dirlo con relativa sicurezza: questo, per noi europeisti, è un giorno buono, di quelli da ricordare. Come il 12 marzo scorso, nel quale il Consiglio BCE ha deciso il suo programma di intervento sulla crisi Coronavirus (possiamo già oggi valutarne le dimensioni e le novità: a marzo, la BCE ha comperato 37,3 miliardi di titoli pubblici dell’area euro, di cui ben 11,8 -il 31%- sono italiani).
Per giungere a un’intesa, è stato molto rilevante l’impegno coerente e determinato del presidente Macron e del ministro Le Maire, che non si sono impiccati alle parole (MES, Eurobond, Coronabond), né per esaltarle, né per demonizzarle, ed hanno avanzato una proposta di mediazione decisamente rivolta a favore di chi vuole che alla politica monetaria venga al più presto affiancata una coerente politica fiscale.
Il Governo italiano, specie con il ministro dell’economia Gualtieri, ha tenuto bene il punto: risorse da investire per la ripresa in qualche modo ricavate da titoli di debito coperti dal merito di credito dell’Euroarea e non dei singoli Paesi membri.
Il Presidente Conte poteva e doveva risparmiarsi quel “… se no, facciamo da soli” – apprezzato dal vicesegretario del PD Orlando -, che ha soltanto messo a nudo la difficoltà a comprendere la reale natura del confronto in corso: il gioco in atto era di quelli di tipo cooperativo, in cui ciascuno affida il suo successo esclusivamente all’accordo. In assenza del quale, c’è solo la sconfitta.
E l’opposizione di centrodestra? Beh, il suo leader un’idea alternativa a quella che ha ispirato il Governo ce l’aveva (e ce l’ha: immagino che dirà peste e corna dell’accordo, proponendo di adottarla): “un’emissione straordinaria di buoni del Tesoro, per italiani, garantiti dal Governo e BCE, in modo che il debito italiano sia in mano a cittadini italiani”. Niente MES (“un debito sulle spalle dei nostri figli”) e niente Europa (“i soldi non li voglio andare a chiedere a prestito, a strozzinaggio, a Berlino a Bruxelles”).
Malgrado gli strumentali apprezzamenti per Draghi, nulla di tutto ciò ha qualche rapporto col buon senso: non vuol far pagare il debito ai figli, e propone di emetterne di nuovo. Ignora che la BCE non può fornire garanzie di quel tipo. Restringe la base degli acquirenti potenziali, immaginando che da questa restrizione non derivi un aumento dei tassi di interesse (peraltro, quelli del MES sono più bassi, ovviamente, di quelli pagati dallo Stato italiano).
C’è un solo modo per discutere seriamente di questa proposta: immaginare che essa non implichi, a differenza di quello che Salvini proclama, la volontarietà della sottoscrizione, bensì la sua obbligatorietà. Ma allora si farebbe più presto a chiamarla col suo nome: patrimoniale straordinaria. Per fortuna, alla guida dell’Italia ci sono altri. Soltanto, vista la proposta Salvini, si potrebbe chiedere a tutti di non insistere con l’idea del governo di unità nazionale?
Presidente di Libertà Eguale. Viceministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni. Senatore dal 1994 al 2013, è stato leader della componente Liberal dei Ds, estensore del programma elettorale del Pd nel 2008 e coordinatore del Governo ombra. Ha scritto con Giorgio Tonini “L’Italia dei democratici”, edito da Marsilio (2013)