di Pietro Ichino
Se il 1° maggio fosse dedicato a chi il lavoro non ce l’ha si dovrebbe parlare seriamente dei tre problemi più gravi: come rafforzare la domanda di manodopera, come colmare il gap tra Nord e Sud, come adeguare la formazione professionale alle sfide dell’evoluzione tecnologica
Se la Festa del Lavoro fosse dedicata principalmente a chi il lavoro non ce l’ha, al centro delle riflessioni di politici e sindacalisti dovrebbero esserci i tre problemi maggiori sul fronte dell’occupazione:
1-la debolezza della domanda,
2-l’enorme squilibrio Nord-Sud e
3-l’inadeguatezza del sistema della formazione professionale rispetto alle sfide dell’innovazione tecnologica.
La debolezza della domanda
Quanto al primo punto, stante l’impossibilità di grandi investimenti pubblici, occorrerebbe soprattutto cercare di rendere il Paese più attrattivo per gli investitori stranieri; invece – ci volete scommettere? – il 1° Maggio si parlerà soltanto di misure che agli investitori stranieri mettono le dita negli occhi: quelle che allontanano di nuovo il nostro sistema di protezione rispetto agli standard dei maggiori Paesi europei, sottolineando per di più la volatilità del nostro quadro normativo e la propensione dell’Italia a non rispettare gli impegni presi (v. la vicenda TAV).
Lo squilibrio Nord-Sud
Quanto al secondo problema, per risolverlo dovremmo guardare con attenzione a quanto ha fatto con successo la Germania nell’ultimo quindicennio per superare il gap occupazionale che affliggeva il suo Est sottosviluppato: apertura alla contrattazione decentrata, per consentire un collegamento più stretto fra retribuzioni effettive e produttività. Invece – ci volete scommettere? – qui il 1° Maggio si parlerà soltanto di un progetto di salario minimo orario stabilito in cifra fissa per tutto il Paese, troppo basso per il Nord e troppo alto per il Sud.
La cattiva formazione
La terza questione, infine, è forse la più grave: la cattiva qualità media della formazione disponibile per i lavoratori italiani li priva della protezione più efficace contro i rischi occupazionali conseguenti all’innovazione tecnologica. Ma per migliorare il sistema occorrerebbe istituire una anagrafe nazionale della formazione e incrociarne i dati con quelli del flusso delle nuove assunzioni, per individuare i centri di formazione peggiori e chiuderli.
Vi sembra il caso che in un giorno di festa ci si metta a parlare di queste cosacce?
(Tratto da www.pietroichino.it, 29 aprile 2019)
Già senatore del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Ordinario di Diritto del lavoro all’Università statale di Milano, già dirigente sindacale della Cgil, ha diretto la Rivista italiana di diritto del lavoro e collabora con il Corriere della Sera. Twitter: @PietroIchino
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