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18 anni di Libertà Eguale/2 “I Democratici”, la rivista che preparò il cambiamento

Giovanni Cominelli lunedì 27 Novembre 2017
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di Giovanni Cominelli

 

Correva l’anno 1994. Il 26 gennaio Berlusconi era “disceso in campo” con una video-cassetta mandata a TV e giornali. Due mesi dopo, il 27/28 marzo, il suo Polo delle libertà/Polo del Buon Governo aveva già vinto le elezioni anticipate, con il 42,84% dei voti (16.585.516 assoluti), mentre I Progressisti di Achille Occhetto conquistavano il 34,34% (13.308.244 assoluti) e Patto per l’Italia di Mario Segni il 15,75% (6.098.986 assoluti).

 

La proposta di fare una rivista

Alberto De Bernardi arrivò con la proposta di fare una Rivista, con l’appoggio finanziario determinante dell’Amministratore delegato della Casa Editrice Bruno Mondadori, Roberto Gulli. Alla definizione della piattaforma, del titolo e della redazione furono dedicati i mesi restanti del 1994. A febbraio del 1995 il numero zero. Il 1° aprile 1995 uscì il primo di undici numeri. Intanto il 6 marzo 1995 era nato l’Ulivo.

La Rivista si era proposta fin dal primo numero di stare “con Prodi”, avendo verificato fin dall’inizio – quando ancora Prodi non era “disceso in campo” – “una comunanza di culture, di atteggiamenti, di radici. Il lavoro lungo un anno per costruire questa rivista e, persino, per trovarle il nome più adatto si è svolto su ipotesi politiche e su previsioni che appaiono confermate”.

 

Cinque motivi per chiamarsi ‘democratici’

Il titolo della Rivista “I Democratici” veniva giustificato nell’editoriale del primo numero, articolato in cinque punti.

  • Il primo: “questo nostro modello di democrazia e di repubblica non è più in grado di garantire il governo democratico delle trasformazioni sociali e culturali di fine secolo, generate dalla transizione dal capitalismo industriale ottocento-novecentesco a quella cosa, di cui abbondano le descrizioni fenomenologiche, ma della quale continua a mancare il nome”. Il termine” globalizzazione” all’epoca non era ancora di moda.
  • Il secondo punto partiva da Albert Camus, quando invocava “ un pensiero politico modesto, cioè liberato da ogni forma di messianismo e sgombro della nostalgia del paradiso terrestre”. E citando Jacques Delors, quando, congedandosi dal Parlamento europeo, parlò di “malinconia democratica”, si prendeva atto che in Occidente “cresce la sfiducia nelle capacità della democrazia di affrontare le insorgenze del tempo presente”.
  • Il terzo punto muoveva dalla constatazione che “il modello di democrazia realizzato nella Prima repubblica si era irreversibilmente consumato. Nessuna nostalgia la riporterà in vita. La sua caduta non è effetto di una congiura né di una deriva di destra, ma del terremoto delle trasformazioni socio-economiche e geopolitiche…”. Pertanto, ci si proponeva di progettare una Seconda repubblica, “fondata sulla tavola aggiornata dei valori della prima parte della Costituzione e dotata di un nuovo modello di democrazia, non più consociativa, ma competitiva”. “Velleità plebiscitarie e tentazioni di scorciatoie non possono fungere da alibi per farci rimanere seduti sulle macerie”. Resta che la coscienza democratica del Paese “ritiene le istituzioni attuali inadeguate a esprimere le ragioni del nostro stare insieme”. Il progetto, di riforma elettorale e istituzionale, a firma di Stefano Ceccanti e Federico Coen, venne esposto in uno dei libretti allegati alla Rivista, intitolato “Idee per l’Ulivo”, in cui figuravano anche contributi di Antonio Giolitti, Giorgio Ruffolo, Manin Carabba, Giorgio Allulli.
  • Il quarto punto spiega che cosa vuol dire, nel bipolarismo che si affacciava, essere “la parte democratica”. E’ “l’alleanza delle forze sociali e degli interessi… che riconoscono il ruolo del mercato e del conflitto, ma rifiutano l’egoismo sociale e l’antagonismo di classe”. “E’ l’innovazione delle culture, che, provenendo dal movimento operaio e socialista, dal cattolicesimo democratico, dal liberalismo sociale, hanno attraversato separatamente e talora in conflitto la storia del Paese e della Prima repubblica e che stanno superando le divisioni dovute a diverse collocazioni geopolitiche e di classe. La rivista “vuole dare voce a questa parte”.
  • Il quinto punto tracciava un metodo husserliano per l’elaborazione: “mettere tra parentesi” le culture consolidate per tornare a guardare alle cose stesse, lasciandosene sorprendere. Proponeva il primum philosophari, deinde vivere, che rovesciava il noto slogan attribuito a Hobbes. Con imprudente audacia, occorre constatare, poiché la rivista chiuderà per l’insostenibilità finanziaria del “vivere” dopo undici numeri, nel marzo del 1996, alla vigilia della vittoria di Prodi.

 

Il rapporto con l’Ulivo

L’interlocutore era, dunque, l’Ulivo e al suo interno il PDS. Si temeva, profeticamente, che “l’adesione dell’undicesima ora alla socialdemocrazia europea fosse l’ultimo alibi di una sinistra italiana che rifiuta di prendere atto dei mutamenti produttivi, sociali, culturali in Italia e in Europa e che si illude di costruire classiche alleanze tra sinistra e centro, rimanendo per parte propria immodificata. Di una sinistra che teme il bipolarismo, l’alternanza, il melting pot di ceti e classi… di una sinistra che pretende di contare e vincere, senza attraversare i traumi del cambiamento”.
Sulle gambe di chi camminarono “I Democratici”?

 

Un ricco elenco di promotori

Cinquantatre i Promotori, tra cui Leopoldo Elia, Sergio Fabbrini, Paul Ginsborg, Ermanno Gorrieri, Pietro Ichino, Oreste Massari, Franco Monaco, Alberto Monticone, Gianfranco Pasquino, Andrea Riccardi, Carlo Trigilia…. Il Comitato editoriale: Enzo Balboni, Augusto Barbera, Gino Giugni, Andrea Manzella, Arturo Parisi, Pietro Scoppola, Walter Veltroni. La Direzione: Gianmario Anselmi, Enrico Beltramini, Stefano Ceccanti, Giovanni Cominelli, Alberto De Bernardi, Luca Diotallevi, Emma Fattorini, Claudia Mancina, Salvatore Natoli, Beppe Tognon, Giorgio Tonini. Direttore responsabile Alberto De Bernardi, Capo redattore Giovanni Cominelli.

Presentai la rivista in una sera romana nel salotto della Contessa Giuliana Olcese a Giorgio Napolitano e a Carlo Azeglio Ciampi. “Ci sono già troppe riviste”, commentò Napolitano. A Milano la sottoposi all’attenzione di Massimo D’Alema, segretario del PDS. Lesse i nomi sopra elencati e sibilò “questi mi spareranno contro”. Ma anche viceversa! Certo è che, scorrendo quell’elenco di nomi, non si può non notare che Libertà Eguale è sbocciata su un terreno già ben arato.

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