di Elisabetta Corasaniti
In questi giorni si ritorna a parlare del concetto di dignità, apparso accanto al sostantivo ‘decreto’.
La dignità umana come fondamento dei diritti dell’uomo
A partire dall’immediato dopoguerra il principio della tutela della dignità della persona umana ha ottenuto un fondamentale e generalizzato riconoscimento sul piano del diritto positivo, sia internazionale che interno ai singoli Stati (a partire dal Preambolo della Carta delle Nazioni Unite del 1945 e nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948). Proprio mentre i Costituenti cercavano difficili terreni di equilibrio tra le diverse culture politiche del tempo, il paradigma della dignità umana come fondamento dei diritti dell’uomo, ha rappresentato il punto di confluenza della corrente socialista e comunista con quella solidaristica cristiana.
Le rappresentazioni della dignità
Appare particolarmente significativo che nell’antica Grecia l’aggettivo “degno” corrispondesse al termine axios, alla cui radice semantica va ricondotto anche il sostantivo “assioma”.
La dignità in realtà, non si esprime in una sola essenziale manifestazione, ma si realizza e si dispiega in innumerevoli rappresentazioni: è divenuta uno strumento culturale determinante da evocare e a cui riferirsi.
Può fornire un punto di arrivo e di partenza poiché reca in sé un potenziale conflitto: da un lato, è un valore che riesce ad orientare la vita di un ordinamento, dall’altro proprio in virtù della sua complessità ed indeterminatezza, ne preclude un uso ancorato a criteri fissi ed immutabili. Tuttavia, proprio questo suo affascinante uso duttile può determinarne un più o meno involontario ‘abuso’ per cui, da fondamento ineluttabile, può scolorire la sua essenza a mero espediente.
L’incertezza sul significato
Resta inoltre particolarmente attuale l’osservazione formulata già nel 1968 da Werner Maihofer, che osservava: «In nessun tempo dignità e personalità umana sono state parole sulla bocca di tutti come oggi. Ma in nessun tempo si è stati così incerti sul loro significato».
Nel linguaggio comune questa parola torna ogni volta roboante e prepotente. La dignità associata vuoi all’universale, vuoi al singolare è sicuramente un presidio inviolabile che custodisce e ci custodisce a prescindere da ogni considerazione e da qualsivoglia circostanza.
Eccola, allora, risuonare nel più generale dei contesti, quello della cosiddetta dignità umana, ma eccola, subito dopo, particolarizzarsi e suddividersi nelle figure specifiche della dignità che, di volta in volta, viene umiliata e offesa: la dignità della donna, la dignità del bambino, la dignità dei lavoratori e così via.
Da Di Maio a… Kant
Come un ‘’obbligo flessibile’’ (il riferimento alle vaccinazioni mi sembra necessario e dovuto) appare al tempo stesso indebolita, poiché usata solamente per stigmatizzare, in apparenza, ogni forma di violenza cieca ed umiliante sia per chi la pone concretamente in essere e sia per chi la avalla, come una qualunque dignità rivestita della forma di un decreto secondo Luigi di Maio (ledendo invero la dignità del bicameralismo perfetto, così fortemente voluto e confermato a difesa della “Costituzione più bella del mondo” il 4 dicembre del 2016).
La dignità ̀ per Pico della Mirandola ha origine divina, è il seme del divino che è in noi ed è riposta nelle caratteristiche dell’autonomia, della libertà che fanno dell’essere umano, per dirla con Nietzsche, un “animale non stabilizzato”. Ma poco importa, in fondo, che secondo alcuni derivi da un’origine soprannaturale dell’umanità mentre secondo altri si tratterebbe di qualcosa di intrinseco alla nostra costituzione fisica, al nostro corpus. E’ imprescindibile che questo principio convergente guidi sempre e criticamente la nostra riflessione.
Kant, nelle pagine della Fondazione della metafisica dei costumi (1785), riconduceva la nozione di dignità alla differenza fra ciò che può essere comprato e ciò che non ha prezzo. «Nel regno dei fini», egli scrive che tutto ha un prezzo (Preis) o una dignità (Wűrde): “ciò che ha un prezzo può essere sostituito con qualcos’altro come equivalente. Ciò che invece non ha prezzo, e dunque non ammette alcun equivalente, ha una dignità.”
La dignità non può essere oggetto di alcuna negoziazione, di alcuna trattativa, di alcuna misurazione, di alcuna comparazione. Proprio con Kant, soprattutto, il pensiero occidentale moderno fa assurgere la dignità al peculiare ruolo di “termine tecnico” per indicare il valore intrinseco dell’essere umano.
Eppure la concezione kantiana dell’uomo di ragione dotato di autonomia morale, oggi, si sgretola a favore di un individuo forgiato da un’etica personale in cui il dovere di responsabilità verso se stessi in merito alle proprie scelte di vita e di valore, non va oltre al facile richiamo dell’ideologia dell’utilità. Viviamo in tempi in cui il pregiudizio, rivestito di teatralità, è giunto a formare la regola, poiché il tentativo di livellare la società ha reso la dignità vittima del sistema e forse, per il ministro dell’interno, addirittura deprecabile. Occorre forse ricordare al ministro Salvini che la dignità non è qualcosa che può essere perso: la persona ha valore in sé stessa e si distingue così da quei beni che sono tali solo in virtù dell’altrui riconoscimento o soddisfazione.
I neologismi del governo gialloverde
I nuovi governanti sono ormai soliti coniare neologismi al solo scopo di nascondere un vuoto di significati e un’assenza di argomenti. Dediti ad una pseudofilosofia autoreferenziale, l’università della strada forma gli scienziati dei no vax, mentre i diritti negati sfociano in un nazionalismo negativo, privo di un vero disegno culturale costruttivo.
Come una conseguenza inarrestabile dell’indebolimento della cultura, in un contesto di analfabetismo funzionale, il valore della parola di un cittadino di scienza è privo di dignità rispetto alla convinzione di una Paola Taverna qualunque.
Ora più che mai è necessario insistere sulla indispensabilità della ragione critica, che si forma e si plasma, come forma in-formazione attraverso lo studio e la comprensione del passato.
Una riflessione consapevole del presente che germoglia attorno al concetto della dignitas, da intendersi non solo come un assioma da cui partire ma come un ideale al quale tendere, rappresenta forse la più importante ed urgente sfida dei nostri tempi.
Aspirante giurista riformista, pianista e lettrice compulsiva. Tra Beethoven, Rachmaninov, Baricco, Kundera, Mortati e Smend, sono la mamma di Laura.