di Pietro Ichino
Risposta a chi vede nelle brillanti performances planetarie del populismo il segno di una obsolescenza forse irrimediabile della società aperta occidentale tradizionale
Nel primo decennio di questo secolo abbiamo fatto appena in tempo a congratularci per la limpida vittoria non violenta del modello occidentale liberal-democratico su quello sovietico, che ci è capitata tra capo e collo la crisi economico finanziaria globale del 2009.
La quale nel decennio successivo ha portato con sé, insieme ad altri danni, l’onda sovranista-populista con i suoi exploit straordinari negli USA, nel Regno Unito, in Brasile, in Italia e altrove.
Ora, proprio in quei successi assai pericolosi delle istanze populiste molti vedono un segno di crisi grave del modello liberal-democratico: “un sistema nel quale Donald Trump può essere eletto Presidente e rischia perfino di essere rieletto, o nel quale i fautori della Brexit possono vincere sulla base di pregiudizi e disinformazione diffusa, è un sistema malato, destinato a soccombere”; donde la domanda che serpeggia: “non sarà che in quest’epoca iper-complessa qualche iniezione di autoritarismo alla Putin, Orbàn o Kaczynski costituisca una correzione necessaria del vecchio modello democratico occidentale?”.
Poi però in un tiepido mattino di primavera ci svegliamo sentendo il ministro degli Esteri Di Maio – già leader di quel M5S che puntava su un referendum per l’uscita dell’Italia dall’Euro – dichiarare: “è necessario che l’UE parli sempre di più con una voce sola”.
E in questi giorni sentiamo assumere una posizione sostanzialmente analoga da Giorgetti, numero due di quella Lega che è stata la punta di diamante degli (ex?)anti-europeisti italiani.
Allora vien fatto di pensare che ancora una volta siamo in presenza di una limpida vittoria della democrazia liberale: senza di essa l’anti-europeismo di M5S e Lega avrebbe potuto soltanto incancrenirsi e incattivirsi, mentre proprio il fatto che gli sia stato consentito di esprimersi fino in fondo, con il rischio concreto di aver successo, sta conducendo i suoi sostenitori a cambiare idea, almeno sul tema specifico.
Quanto agli altri temi, chi può dire che nemmeno su uno solo abbiano da dire anche loro qualche cosa che meriti di essere ascoltato?
Già senatore del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Ordinario di Diritto del lavoro all’Università statale di Milano, già dirigente sindacale della Cgil, ha diretto la Rivista italiana di diritto del lavoro e collabora con il Corriere della Sera. Twitter: @PietroIchino