di Stefano Ceccanti
La proposta di Cerasa di tornare a un sistema dove i cittadini decidono direttamente un Governo, al di là delle tante variabili tecniche, va accolta. Per capire perché sia fondata bisogna fare un passo indietro e capire quando e perché è stata abbandonata.
Il risultato del referendum costituzionale
In termini cronologici il fatto decisivo è stato il risultato del referendum costituzionale. Da lì si è innescata una dinamica che ha trascinato la sentenza della Corte costituzionale che ha riproporzionalizzato il sistema (il legame causale è stato evidente nell’aggiornamento dell’udienza decisiva a dopo il referendum) e che ha poi avuto una conferma con la legge Rosato.
Tuttavia c’è di più. Prima del referendum, col successo nei ballottaggi comunali di candidati grillini, si era eroso il consenso dell’élite dirigente verso un sistema maggioritario a doppio turno, l’unico che potesse, a partire da tre minoranze, produrre un vincitore senza eccessive forzature. Scambiando un fatto congiunturale con un dato strutturale, buona parte della classe dirigente ha a quel punto ritenuto preferibile un sistema dove nessuno vincesse e dove fosse immaginabile un sistema di coalizioni contro le forze ritenute antisistema. Questa riflessione è stata anche dietro il ritiro di Forza Italia dalla maggioranza costituzionale e al suo slittamento nello schieramento del No al referendum, che è stato decisivo per l’esito del 4 dicembre 2016.
La regressione proporzionalista
Com’è andato il seguito è noto. Con la vittoria del No e la conseguente regressione proporzionalista non si è verificata una coalizione tra le due forze che avevano dominato la cosiddetta seconda Repubblica, ma, ben più coerentemente, le due forze critiche verso il sistema già alleate nel No sono riuscite a coalizzarsi.
Una eterogenesi dei fini che dimostra come le sfide con forze regressive vadano combattute in campo aperto, non con espedienti. Per di più gli esiti concreti smentiscono radicalmente l’argomento classico dei proporzionalisti e dei fautori dei Governi di coalizione, ossia le doti di moderazione reciproca che quegli assetti porterebbero con sé.
Il Governo Conte, infatti, procede di norma blindando un provvedimento favorevole ad uno dei due partiti di maggioranza per farlo seguire subito dopo da un’ulteriore blindatura a favore di un provvedimento di matrice opposta. È così, ad esempio, che quasi senza nessun emendamento significativo, sia stato possibile convertire in legge il decreto sicurezza del Ministro Salvini, sgradito ad ampia parte del M5S, e a breve distanza il provvedimento anticorruzione voluto dal M5s e osteggiato dalla Lega.
Torniamo al maggioritario
Paradossalmente un Governo monocolore avrebbe prodotto esiti meno estremi perché limitati ad uno solo dei due ambiti.
La legge Rosato resta aperta ad un esito maggioritario qualora una coalizione raggiunga il 40% e abbia una buona distribuzione territoriale per le vittorie nei collegi uninominali. Tuttavia essa è incoerente: prevede coalizioni pre-elettorali ma è possibile che, in assenza di un vincitore, esse siano subito smontate e rimontate altrimenti.
Anche stavolta non lasciamoci fuorviare da un dato congiunturale, dal fatto che in questo momento una coalizione a trazione leghista sembrerebbe poter vincere. Tanto vale scegliere stabilmente un modello coerente: o un sistema proporzionale vero, dove agli elettori scelgono solo un partito e non un Governo, o un maggioritario vero che garantisce la scelta diretta. Il secondo, quello che vediamo per Comuni e Regioni, è qualitativamente migliore. Torniamo su quella strada: poi chi avrà più filo con gli elettori tesserà.
Vicepresidente di Libertà Eguale e Professore di diritto costituzionale comparato all’Università La Sapienza di Roma. È stato Senatore (dal 2008 al 2013) e poi Deputato (dal 2018 al 2022) del Partito Democratico. Già presidente nazionale della Fuci, si è occupato di forme di governo e libertà religiosa. Tra i suoi ultimi libri: “La transizione è (quasi) finita. Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima” (2016). È il curatore del volume di John Courtney Murray, “Noi crediamo in queste verità. Riflessioni sul ‘principio americano'” , Morcelliana 2021.