di Alessandro Maran
Claudio Cerasa ha definito l’esecutivo rossogiallo che sta per nascere un “governo sbagliato per una giusta causa”. La “giusta causa”, la “svolta” che giustifica un governo “contro natura”, ovviamente è quella di porre freno al populismo, disfarsi del sovranismo e riportare l’Italia in una traiettoria occidentale ed europea.
Sbaglierò, ma non credo che si possa fare tutto questo con il M5s, un partito nato come una forza antisistema, ostile alla democrazia rappresentativa e alla funzione del parlamento; una forza nemica dell’integrazione europea e ostile a tutte le culture politiche che hanno permesso all’Italia di trovare il suo posto nel mondo; una forza carica di rancore, che ha nel suo codice genetico l’odio per la modernità, lo sviluppo, le libertà economiche e l’impresa.
Un’alleanza di governo tra il Pd e il M5s rappresenta la rinuncia all’idea di poter offrire un’alternativa al populismo e rischia di provocare un’altra situazione dannosa e ingarbugliata che produrrà fatalmente una nuova delusione vittimista e piagnona e l’ennesima illusione di redenzione.
Oltretutto, da un pezzo i fatti si sono incaricati di dimostrare che il problema fondamentale dell’Italia non è la presunta “emergenza democratica” (di cui, prima che arrivasse Salvini, si è molto parlato ai tempi di Craxi, e poi di Berlusconi, invocando nuovo Cln per liberare l’Italia dal berlusconismo, e poi di Matteo Renzi, denunciando i pericoli autoritari insisti nella resistibile ascesa di “un bulletto che aspira a diventare un Leviatano”) ma la mancata modernizzazione del paese; ed hanno chiarito, se ancora ce ne fosse bisogno, che un paese che non cresce da vent’anni rischia il declino, l’“argentinizzazione”, e che la nostra stabilità sta diventando ogni giorno più precaria e le nostre debolezze sempre più pericolose.
E proprio perché, come l’Argentina (e gli altri paesi latini e cattolici), l’Italia è un paese a bassa intensità liberale, sia a livello politico che economico; proprio perché l’Italia e la Spagna non si sono trasformate in democrazie prospere per mano di robusti partiti liberali, ma come risultato di una crescita lenta e precaria della pianta liberale dentro partiti che non avevano nulla di liberale; proprio perché dalle nostre parti sono in troppi ancora a credere a chi racconta loro che si possano piantare gli zecchini in qualche campo dei Miracoli, ritengo che una scelta coraggiosa, quella di far svegliare la coscienza dell’Italia contro chi l’ha portata nello stato pietoso dove oggi si trova, sarebbe stata la scelta giusta.
Anche perché se si continuano a trattare gli italiani come se fossero dei bambini continueranno a comportarsi da bambini: il fatto che l’Iva aumenti è un segnale chiaro di come le politiche economiche del governo (invocate dalla maggioranza degli italiani) siano state dannose per il paese, si o no? “La mia non è una politica del consenso ma del convincimento”, sosteneva per l’appunto Margaret Thatcher.
Salvini è chiaramente un populista ma non un fascista (anche se ne sfrutta i gesti e i simboli); e contro un populista si reagisce con una battaglia di idee. Specie se si considera che quello che sta nascendo tra Pd e M5s (e Leu) non è affatto un “governo di scopo” e, per molti, non è affatto un’intesa “contro natura”. Sono in parecchi a coltivare il sogno di un nuovo centrosinistra all’interno del quale i grillini dovrebbero occupare l’ala sinistra dello schieramento e contribuire a consolidare un nuovo bipolarismo destra-sinistra (ma sarebbe meglio dire Salvini e anti-Salvini). E c’è chi pensa che l’esperienza di governo potrebbe diventare, addirittura, il cantiere di una fase costituente di una nuova formazione politica.
I grillini sono in fondo una pagina dell’album di famiglia della sinistra italiana (una pagina obsoleta quanto si vuole, ferma ad analisi insostenibili quanto si vuole, ma che un tempo facevano parte di un patrimonio comune a moltissime persone). E ciò che li rende figli della stessa tradizione culturale non è la lotta alla corruzione, bensì il catastrofismo radicale, l’ossessione per la purezza, la demonizzazione del nemico, l’idea che il peccato pervada il mondo e che a un gruppo di pochi eletti spetti il compito di purificarlo. Non è certo da oggi che in Italia “los redentores” si contendono i fedeli. Non è certo la prima volta che l’Italia che redime batte l’Italia riformista. Ma “los redentores” con la sinistra moderna (vale a dire una sinistra riformista in grado di combattere un sistema di valori antitetico alla modernità) non hanno mai avuto niente a che fare. Il rischio più grande è quello di dimenticarlo. Magari proprio per una forma di snobismo.
(Pubblicato su Il Foglio, 3 settembre 2019)
Già senatore del Partito democratico, membro della Commissione Esteri e della Commissione Politiche Ue, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Parlamentare dal 2001 al 2018, è stato segretario regionale dei Ds del Friuli Venezia Giulia.