di Elisabetta Gualmini
Si è scatenato un dibattito molto acceso sui media italiani, e non solo, sulla scelta di sole due eurodeputate del Partito democratico (chi scrive e Pina Picierno) di dissentire dall’indicazione della segreteria nazionale e di votare a favore dell’uso di armi inviate in Ucraina anche per colpire basi russe.
Non è stato sottolineato, tuttavia, il dato più rilevante di tale voto e cioè il suo perfetto allineamento con l’indicazione del Gruppo dei Socialisti e Democratici a cui il Pd appartiene. In parole povere, non siamo state noi a dissentire dalla linea della nostra famiglia politica, del partito europeo, molto unito e compatto sul sì all’uso delle armi in territorio russo, ma sono stati coloro che, legittimamente, hanno scelto di votare contro l’articolo 8 della Risoluzione o di non votare.
Lo stesso Alto Rappresentante Josep Borrell si è dichiarato nelle settimane scorse apertamente a favore dell’alleggerimento delle restrizioni sulle armi inviate dall’Occidente all’Ucraina, egli stesso appartenente al Gruppo dei Socialisti e Democratici.
Va aggiunto che sulla Risoluzione nel suo complesso la delegazione del Partito democratico ha votato compattamente a favore (con l’unica eccezione di due eurodeputati indipendenti), in questo modo consentendo che anche l’articolo 8 venisse approvato senza difficoltà. Ma vale comunque la pena di spiegare perché il contrasto all’allentamento dei vincoli sull’uso dei mezzi militari mandati in Ucraina a mio parere è sbagliato.
I motivi sono almeno tre.
In primo luogo, il voto contrario del Pd si è sovrapposto in modo del tutto sconsigliabile e fuorviate, alla postura non solo dei partiti di governo (Forza Italia e Fratelli d’Italia) ma anche dei sovranisti e sedicenti Patrioti – da Vannacci a Bardella – la cui vicinanza a Mosca è piuttosto nota. Una posizione, dunque, difficilmente accettabile per un partito come il PD da sempre fermo nella difesa del principio di integrità territoriale e indipendenza degli stati, e soprattutto da sempre orgoglioso interprete della nostra Costituzione, nata dalla “Resistenza contro l’invasore”, che recita in modo chiaro: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli». La nostra Costituzione dice proprio questo: che l’Italia ripudia la guerra di Putin, condotta a un passo da noi, nel cuore dell’Europa, contro la libertà del popolo ucraino. Sostenere che un paese si possa difendere da chi offende la sua libertà solo intercettando i missili che quotidianamente gli arrivano sulla testa e non le basi da cui vengono lanciati è contrario a qualsiasi logica. Chiedere agli Ucraini di difendersi con una mano legata dietro alla schiena o col freno a mano tirato appare una ipocrisia politicamente motivata di cui si fa fatica a rintracciare le basi etiche e giuridiche.
In secondo luogo, il testo era molto buono, ben scritto e migliorativo rispetto ad altre risoluzioni simili, in particolare quella del Luglio 2024, proprio grazie all’eccellente lavoro di colleghi del PD e del Gruppo S&D. Viene evidenziato in tre punti diversi che l’Unione europea si deve rafforzare per perseguire con determinazione la pace, “una pace giusta e duratura”, anche facendosi promotrice di un secondo Summit per avviare il negoziato. E’ stato poi escluso ogni riferimento all’ingresso dell’Ucraina nella Nato, un aspetto molto delicato che non compete all’Unione. E, infine, si parla di “target militari legittimi” da (eventualmente) colpire in territorio russo, con massima precisione. Un testo dunque tutto sommato equilibrato, nonostante, qualsiasi voto su un conflitto atroce in atto, con decine di migliaia di morti e feriti, fatto spingendo un pulsante dal comodo scranno del Parlamento europeo, non venga esercitato a cuor leggero.
In terzo luogo, il consenso sull’articolo 8 va interpretato come una posizione di sostegno, senza ambiguità, al diritto di autodifesa del popolo ucraino, che in altre parole significa la difesa fino in fondo della democrazia. Questo è il vero punto, in un momento in cui le democrazie liberali sono sempre più sfidate dalla fascinazione per i regimi illiberali, per le autocrazie, per gli uomini o le donne soli al comando che fanno tabula rasa di diritti e pluralismo. Le democrazie cominciano ad essere minoritarie in giro per il mondo, affaticate e infragilite da crisi economiche sempre più frequenti e da populismi e nazionalismi estremi; l’Unione europea, e il Parlamento che ne è l’organo eletto direttamente, non possono tentennare su questo, o inventarsi acrobazie poco sostenibili.
Su questo la linea del Pd deve essere chiara, così come lo è la linea del Gruppo europeo e di tutte le delegazioni nazionali che lo compongono, e non strizzare l’occhio o accodarsi a correnti di opinione in Italia variamente motivate da un antico anti-americanismo, dalle più recenti simpatie verso l’autoritarismo in chiave nazionalista di Vladimir Putin, da un pacifismo assoluto disincarnato da ogni senso di responsabilità, dalla ingiustificata aspettativa che un po’ di ipocrisia ci terrà al riparo dall’ostilità di Mosca.
Un partito solido su questioni dirimenti come la politica estera cerca la coerenza piuttosto che l’ambiguità.
Professore ordinario di Scienza Politica all’Università di Bologna. È stata presidente dell’Istituto Carlo Cattaneo, Visiting Professor in numerose università straniere, ha scritto una trentina di saggi e una decina di libri sul welfare e la pubblica amministrazione. Attualmente è membro del Parlamento Europeo, eletta nelle fila del Pd, e, in quanto tale, componente del gruppo dei Socialisti e Democratici.