LibertàEguale

Digita parola chiave

Attal e Glucksmann, gli adulti contro i due populismi

Vittorio Ferla martedì 9 Luglio 2024
Condividi

di Vittorio Ferla

 

Il ballottaggio di domenica parla chiaro: il calcolo machiavellico di Emmanuel Macron vince a dispetto di tutti i commentatori con il sopracciglio alzato che in queste settimane hanno accusato il presidente francese di suicidio politico e di gettare la Francia nel caos. Grazie allo scioglimento dell’Assemblea nazionale e al meccanismo delle desistenze, Macron si toglie dalla graticola che lo avrebbe grigliato fino al 2027, impedisce a Marine Le Pen di raggiungere la maggioranza assoluta e ribalta i risultati del primo turno. Fino alle elezioni continentali di giugno, Macron si era mosso da “leone”, capace, per dirla con Machiavelli, di “sbigottire i lupi”, ma senza guardarsi dalle “trappole” e dai “lacci”. Dopo la sconfitta delle europee, la sola forza del leone lo avrebbe fatto cadere. Così ha dovuto scegliere una strategia diversa, quella della “volpe”: giocare d’astuzia, “simulare e dissimulare” allo scopo di “conservare lo Stato”. Ovvero: conservare la Francia quale pilastro dell’Unione europea.

Un governo guidato da Jordan Bardella, delfino di Le Pen, sarebbe stato ostile all’integrazione europea, protezionista e amico della Russia. Macron e Bardella sarebbero entrati subito in conflitto su tre dossier fondamentali, trascinando nella crisi l’Unione europea: l’appoggio all’Ucraina, le politiche dell’immigrazione, il debito pubblico.

Marine Le Pen aveva ribadito che nel caso di un governo del Rassemblement National, la Francia non avrebbe mandato propri soldati in Ucraina, avrebbe diminuito il sostegno militare a Kiev e vietato a Zelensky di usare le armi francesi contro obiettivi russi. Difesa e politica estera sono prerogative del capo dello Stato, ma un capo di governo lepenista avrebbe avuto potere di controllo sul budget, decidendo di bloccare i fondi per la fornitura di armi all’Ucraina o di tagliare il contributo francese per la difesa Ue. La posta in gioco era altissima se si pensa che la Francia è una potenza nucleare e membro permanente del Consigliò di sicurezza dell’Onu.

Sul dossier immigrazione, un ipotetico governo Bardella avrebbe potuto sospendere la libera circolazione (lo ammettono gli accordi di Schengen) con la scusa dei rischi per la sicurezza del paese. Bardella avrebbe cercato di chiudere le frontiere e rifiutato di regolarizzare i rifugiati che arrivano in Francia. Infine, sulla questione del debito pubblico sarebbe certamente partita una vertenza contro Bruxelles in puro stile sovranista.

In pratica, un eventuale governo di destra avrebbe spostato la Francia sulle posizioni dell’Ungheria di Viktor Orbán, proprio mentre Marine Le Pen valuta di portare il proprio partito nell’eurogruppo dei Patrioti appena fondato dal primo ministro magiaro. Tutti motivi più che sufficienti per giustificare l’obliqua strategia di Macron, moderno “florentin” (così era definito per l’impronta machiavellica il suo predecessore François Mitterrand). Usando astutamente l’effetto di de-radicalizzazione del sistema elettorale a doppio turno, il presidente francese ha vinto il primo round contro il sovranismo xenofobo ed euroscettico.

Adesso si apre il secondo round che punta all’isolamento del populismo rosso, islamista e antisemita di Jean-Luc Mélenchon, lassista sui conti pubblici, antiamericano e ostile alla difesa dell’Europa dall’aggressione russa. Un pericolo altrettanto grave per la tenuta della Francia e di tutta l’Ue. Ancora una volta i commentatori italiani non colgono il punto: quelli di destra accusano Macron di aver provocato il caos e di aver riabilitato la France Insoumise, quelli di sinistra gioiscono troppo, sognando che il fronte popolare abbia chance di governo in Francia e possa diventare perfino un modello per l’Italia. Nulla di tutto ciò è fondato. Il primo a tirarsi fuori dall’opzione di governo è proprio Mélenchon, annunciando che il suo movimento potrebbe stare in un governo solo a condizione di applicare interamente il proprio programma.

Ma la cosa più importante è che sono proprio i potenziali alleati – anche quelli di sinistra – che non hanno alcuna voglia di fare accordi con il leader populista. Subito dopo il ballottaggio, Raphaël Glucksmann, fondatore e leader di Place publique, partito della rinascita socialdemocratica, è stato chiaro: “Siamo in testa, ma in un’assemblea divisa e quindi dovremo comportarci da adulti. Dovremo parlare, dovremo discutere, dovremo dialogare”, ha detto il leader neosocialista. Poi ha aggiunto: “Il cuore del potere è stato trasferito all’Assemblea ed è necessario e fondamentale un cambiamento della cultura politica”.

Gabriel Attal, primo ministro ancora in carica e guida di Ensemble, aveva chiarito l’obiettivo in campagna elettorale: una “Assemblée plurielle”, decisiva per sviluppare negoziati tra le forze riformiste e moderate ed escludere quelle estremiste e populiste. Non a caso, la settimana scorsa il ruolo di Attal è stato determinante per la definizione delle desistenze.

In questi giorni, pertanto, bisognerà seguire bene le mosse dei due ‘adulti’ nella stanza: Attal e Glucksmann. Sono loro i potenziali protagonisti di un accordo di governo. Sono loro i potenziali candidati in pole position per le elezioni presidenziali del 2027, con buone chance di ribattere Le Pen. Macron ha già comunicato di voler prendere tempo per valutare i nuovi assetti parlamentari: mentre i vari gruppi si prendono le misure, cominciano le trattative per far nascere un inedito governo di coalizione di centrosinistra.

Tags:

Lascia un commento

L'indirizzo mail non verrà reso pubblico. I campi richiesti sono segnati con *