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Aumentare i pensionati non aumenta i posti di lavoro

Natale Forlani martedì 23 Ottobre 2018
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di Natale Forlani

 

Aumentare il numero dei pensionati favorirà la crescita dei posti di lavoro? A sentire i nostri attuali governanti sembrerebbe di si!

I 400 mila nuovi pensionati, grazie alla quota 100 prevista nella legge di stabilità, genereranno altrettante opportunità di lavoro, anzi, dice Savona, due occupati per ogni posto vacante, forse tre, afferma Di Maio, confortato dagli amministratori delle aziende di stato (sic).

 

L’ennesima favoletta raccontata al popolo

In realtà, questo capitolo della cosiddetta “manovra del popolo” possiamo assimilarlo alla ennesima favoletta raccontata al popolo.

Vediamo il perché.

 

1. Turn over nella PA: solo una assunzione ogni quattro uscite

Secondo una analisi dell’Inps sui potenziali usufruttuari della famosa quota 100 ( 62 anni di età e 38 di contributi) il 40% degli stessi appartiene alla pubblica amministrazione.

Ebbene, si dà il caso che le norme in vigore – che la legge di stabilità non propone di modificare – stabiliscano che possa essere assunta solo una persona ogni 4 uscite dall’organico, per la finalità di ridurre la spesa della Pubblica amministrazione (infatti la legge di stabilità propone di tagliare ulteriori 3, 5 mld nel 2019 ricomprendendo tra questi risparmi l ‘esodo del personale per pensionamenti).

Fatti i debiti conti, delle 160 mila potenziali uscite solo 40 mila potrebbero essere rimpiazzate.

 

2. L’impatto (modesto) sulle grandi aziende

La seconda possibile ondata di fuoriuscite per pensionamenti riguarderebbe principalmente le medie grandi aziende (50 mila annunciati solo nelle banche) dove si concentrano, nel contempo, i lavoratori che hanno carriere più lunghe e i fabbisogni di riduzione del personale per effetto delle tecnologie e delle riorganizzazioni aziendali.
In queste aziende si assumono anche nuove persone – poche in rapporto alle uscite – ma tutte legate ai profili più evoluti nel campo della gestione delle innovazioni digitali e del marketing.
Quindi: pensionamenti come ammortizzatore sociale e niente nuove opportunità di lavoro se non per i profili che le aziende avrebbero assunto ugualmente.

 

3. I problemi delle imprese più piccole

Infine, consideriamo il resto del sistema produttivo, dove le imprese sono generalmente più piccole, la mobilità del lavoro più elevata, e dove, non di rado, l’uscita di un lavoratore anziano esperto viene vista con preoccupazione dalle imprese perché non trovano sostituti nel mercato del lavoro.
In questi ambiti produttivi – si pensi al terziario, all’agricoltura, alla logistica, al turismo e ai servizi per le persone – le scelte delle imprese riguardo le assunzioni, dipendono dalle aspettative congiunturali e, semmai, solo indirettamente da un fabbisogno di sostituire un personale stabilmente assunto.

Queste tendenze sono note a chi si occupa di mercato del lavoro.

 

Lo squilibrio tra contribuenti attivi e pensionati

E a chi si occupa di previdenza e di conti pubblici è altrettanto noto che una crescita di 400 mila nuovi pensionati, aggiuntivi alla quota già prevista, porterà ad uno squilibrio ulteriore del rapporto esistente, e già precario, tra il numero dei contribuenti attivi e quello dei pensionati con effetti strutturali devastanti sul sistema pensionistico italiano e per le integrazioni annuali a carico del bilancio dello stato per renderlo sostenibile (attualmente arrivate alla “modica” cifra di 110 miliardi).

Non pretendo di avere la verità in tasca, ma per il sottoscritto questa “manovra del popolo” potrebbe avere come testimonial il mitico Tafazzi.

 

 

 

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