di Carlo Fusaro
Il discorso di Biden mi ha convinto. L’ho trovato lucido, chiaro, quasi una boccata d’aria fresca a fronte della generale fiera dell’ipocrisia cui siamo assistendo, e che trovo vomitevole e irrispettosa di tanti afgani.
1) E’ chiaro che ci siamo andati tutti a ficcare in un guaio colossale. Sembrava ragionevole – dopo aver abbattuto il regime dei Talebani uno e aver smantellato il più dei santuari terroristici – sostenere un tentativo di c.d. nation building, cosa del resto provata molte volte in vari contesti, con qualche successo e diversi fallimenti. Quando ero bambino si dice “natura non facit saltus”. Ci siamo capiti.
2) Non è stato come si dice ora a tweet spianati un colossale fallimento. Proprio i tanti afgani (e soprattutto le tante afgane di ogni età) che hanno apprezzato alcuni elementi della nostra vituperatissima democrazia liberale (sì: occidentale) ne sono la dimostrazione. Se loro (e noi) ci preoccupiamo del pericolo di un salto “indietro” (fra virgolette) evidentemente qualcosa si è fatto e si è andati avanti.
3) In ogni caso una buona parte della società afgana si è evoluta, si è istruita (di nuovo: comparativamente il salto più grande l’han fatto le donne), è andata oltre. Francamente non credo che i Talebani avranno vita facile, a meno che non si siano evoluti anche loro (non ho idea, al di là delle parole relativamente moderate di queste ore). Certo è che dopo 20 anni lasciamo anche infrastrutture che resteranno come fattore potenziale di progresso e crescita. Ma soprattutto, ripeto, una grande evoluzione l’ha fatta la società: ed è la cosa principale.
4) Certo: non è ovviamente stato sufficiente. Altrimenti quella metà di Afganistan (come territorio, molto di più come popolazione considerando la capitale) non già sotto controllo o comunque in scacco talebano non sarebbe caduto in pochi giorni. Mi pare evidente che i vari ras locali (o molti di essi) avevano già negoziato la resa da tempo. E penso che americani e anche noi altri lo sapessimo.
5) E’ un fatto, comunque, che gli afgani che avrebbero potuto e dovuto farlo (io distinguerei) non hanno combattuto. Studieremo perché. Gli altri, ancorché occidentalizzati (per dirla in una parola), che potevano fare? Quando gente normale, gente come noi, gente diciamo “civile” (sempre virgolette) incontra la violenza bruta impiegata senza rimorso e senza freno, che può fare? Sta a chi è preposto (certo col sostegno morale e fiscale degli altri) difendere i più da quella violenza. Se non lo fa, difficile pensare resti altro che l’eroismo di pochi e la resa generale.
6) Chi siamo del resto noi per giudicare il grosso degli afgani? Biden ha ragione, ma la critica va tutta e solo ai militari e al governo che sono scappati. Perché come credete si impose da noi il fascismo negli anni dal 1919 al 1922? Si impose per l’efferata violenza delle squadre fasciste che bastonavano, facevano bere l’olio di ricino agli oppositori, intimidivano e quando non bastava assassinavano: il delitto Matteotti fu solo il coronamento di tutto ciò, ma gli episodi furono per anni quotidiani e infiniti. Ma perché ebbero successo? Perché i politici non furono all’altezza e perché – soprattutto – il re infingardo rifiutò nel ’22 di usare la forza armata (che per unanime valutazione avrebbe spazzato i fascisti, ben più deboli degli odierni taliban, con facilità) e nel ’24 rifiutò di fare quel che avrebbe fatto in condizioni ancora peggiori nel ’43.
7) Dice: va bene ritirarsi, ma non così, lasciando la parte evoluta della società afgana (donne in primis) alla mercé dei Talebani. Il punto è che non c’è un modo brillante ed efficace di cessare un intervento di quel genere. Non c’è un momento buono. E’ comunque una sconfitta ed è comunque un casino. Tanto più se non ti accorgi che chi avrebbe dovuto assicurare una transizione progressiva sta scappando. Errori? Certo. Ma Biden ha buon gioco a dire a noi tutti che l’unica alternativa sarebbe stata restare, restare, restare per chissà quanto. Si poteva- onestamente – noi tutti dire: vent’anni non son bastati, proviamo con altri venti? (Non era evidentemente questione di mesi o qualche anno! La prova sta nei fatti.)
8) Avremmo davvero fatto diversamente noi europei? Non lo so, ma dubito. Il punto è che le nostre opinioni pubbliche, tutto sommato giustamente, non sono in grado in democrazia di reggere interventi come quello in Afganistan oltre un certo lasso di tempo. Punto. In ogni caso abbiamo l’ennesima riprova di quanto serva costruire la sovranità europea (non italiana, tedesca o francese: europea): che palesemente non c’è. La invocano, ragionevolmente molti in queste ore a partire da Prodi: ma dobbiamo dire agli europei che questo significa meno burro, più armi, un efficiente dispositivo militare sovranazionale di notevole consistenza. Sacrifici, in altre parole: meno di qualcos’altro, o ancora più tasse.
9) Per questo dico che Biden ha squarciato l’ipocrisia generalizzata di chi oggi si strappa le vesti acriticamente: certo, è una tragedia (o lo può diventare). Il fatto è che il progetto di “nation building” ha avuto un successo solo nella società civile, e parziale: non è bastato a costruire governi e truppe vogliose di difendere il “nuovo” Afganistan. O se ne prendeva atto o si restava forever.
P.S. Infine trovo insopportabile ipocrisia quella di chi se la sta prendendo in queste ore contro il ministro Di Maio per essersi permesso a Ferragosto di andare a fare il bagno in pubblico. A parte che il 15 anche Biden era “in vacanza”, a parte che – non so come e perché – siamo stati i più veloci a ripartire da Kabul (più di francesi, tedeschi e altri; lasciamo stare gli americani), non siamo ai tempi di Mussolini (che per far pensare che lavorava anche di notte ordinava di lasciare accesa la luce del suo ufficio in piazza Venezia): un ministro è perfettamente in grado di fare il suo mestiere da casa sua o dalla sua residenza in campagna o dal mare. E se fa un tuffo, io non ho nulla da dire. Se mai, vorrei che il presidente Draghi e lui e Guerini ci dicessero come han fatto Biden e la Merkel: a quanti afgani a noi vicini dovrebbero essere garantito l’espatrio, quanti ci impegniamo a prenderne, quando e come. Siamo seri, per piacere.
Presidente del Comitato scientifico di Libertà Eguale. Già professore ordinario di Diritto elettorale e parlamentare nell’Università di Firenze e già direttore del Dipartimento di diritto pubblico. Ha insegnato nell’Università di Pisa ed è stato “visiting professor” presso le università di Brema, Hiroshima e University College London. Presidente di Intercultura ONLUS dal 2004 al 2007, trustee di AFS IP dal 2007 al 2013; presidente della corte costituzionale di San
Marino dal 2014 al 2016; deputato al Parlamento italiano per il Partito repubblicano (1983-1984).