di Claudio Petruccioli
Tutti o quasi hanno ricordato Francesco Saverio Borrelli, capo del “pool Mani pulite” con tre sue parole che, poi, sono una sola ripetuta tre volte: “resistere, resistere, resistere”.
Per capirne meglio il significato e la portata, ho voluto ricongiungerle alla frase in cui compaiono; cosa abbastanza facile perché si tratta di non più di quaranta parole in tutto. Eccola, la frase: “Ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave”.
Accidenti! Il breve ma ferreo ragionamento prende le mosse dalla “volontà generale”, così sinteticamente definita nel Dizionario Treccani: “nella teoria politica democratica moderna, concetto basilare, inizialmente elaborato dal pensatore svizzero J.-J. Rousseau (1712-1778), che indica la volontà del corpo politico, considerato come persona pubblica e in cui ciascun membro è parte indivisibile del tutto”. Una volta cioè verificata per via democratica, la “volontà generale” non tollera più riserve; diventa per tutti vera e giusta e tutti devono considerarla tale. Fu la faticosa comprensione di questo vincolo – ai miei occhi incompatibile con ogni forma di pluralismo e minaccioso per le libertà individuali – a indurmi in anni lontani a una dolorosa presa di distanza dal pensiero di Rousseau che pure avevo frequentato e amato.
Sarebbe far torto a Borrelli pensare che abbia usato quell’espressione senza averne ben chiaro lo spessore e le implicazioni; tanto più che ad esaltarne tutta la “pregnanza” roussoviana c’è quel “sgretolamento”; per dire che senza il rispetto, il culto della stessa “volontà generale” questa degrada, si disperde; e si apre, così, la strada ai peggiori guasti e pericoli. Quando questo avviene è in gioco la stessa salus rei publicae; a difesa della quale c’è solo “il senso del diritto, ultimo estremo baluardo della questione morale”.
Pochissime parole saldano in modo indissolubile gli anelli della catena: il “senso del diritto” è l’antidoto allo “sgretolamento” della “volontà generale. Non si può dunque restringerlo al semplice “rispetto della legge” perché in realtà è un estremo baluardo; a difesa di cosa? della giustizia? No, sarebbe troppo poco: a dover essere difesa è la “questione morale” che emana dalla “volontà generale”. Il “senso del diritto”, in sostanza, tiene insieme la “volontà generale” e la “questione morale”; anzi tutela l’una e l’altra. Chiarito questo è piuttosto semplice derivare quale sia per Borrelli la funzione, il dovere, la “missione” dei magistrati.
E’ riassunta qui tutta una concezione della società, del potere, della morale e – a seguire – della democrazia, della politica, della giustizia; una visione compatta e dura che riguarda il pensiero dell’intellettuale prima che gli atti del magistrato Borrelli; anche se – come avviene per tutti – non è arbitrario ipotizzare un rapporto fra il primo e i secondi.
Per il rispetto che gli si deve mi sembra giusto riconoscergli la forza e la coerenza delle idee cui si è ispirato. Per farlo basta leggere con attenzione quelle quaranta parole e non limitarsi a ripeterne tre.
(Tratto da La Rivista Intelligente, 21 luglio 2019)
Politico e giornalista, fa parte della presidenza di Libertàeguale. È stato parlamentare del Pci/Pds/Ds per cinque legislature. Presidente della Commissione di vigilanza Rai dal 2001 al 2005 e Presidente del consiglio d’amministrazione della Rai dal 2005 al 2009.