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Brexit: nel Labour cresce la voglia di referendum

Massimo Ungaro sabato 29 Settembre 2018
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di Massimo Ungaro

 

 

Oltre 1300 delegati si sono riuniti anche quest’anno a Liverpool per la conferenza annuale del Partito laburista britannico.

Durante i quattro giorni di dibattito è stato rassicurante scoprire quanto la base del partito laburista sia molto più europeista di quanto lascino supporre le dichiarazioni di vari membri dell’attuale gruppo dirigente.

 

L’ipotesi di un secondo referendum

L’idea di un secondo referendum fino a qualche mese fa sembrava inverosimile. La crescente paralisi dei negoziati e l’acuirsi delle tensioni nell’attuale maggioranza hanno invece alimentato questa possibilità fino a portare Sadiq Khan, il sindaco laburista di Londra, a chiedere una nuova consultazione.

Con la conferenza di Liverpool la richiesta di un secondo referendum (‘people’s vote’) entra nel programma ufficiale del partito laburista, seppur dipendente da una serie di condizioni. Dopo un’impasse su cosa dovesse costituire l’oggetto di un ipotetico secondo referendum – il testo della mozione approvata dai delegati rimane vaga su questo punto mentre vari dirigenti si erano espressi contro la reversibilità del risultato del referendum del 2016 – Keir Starmer, il ministro ombra per la Brexit, ha preso l’iniziativa e annunciato che non si può escludere come opzione anche la possibilità di rimanere dentro l’Unione Europea. L’annuncio è stato accolto con un’ovazione e un sospiro di sollievo da parte di molti delegati. Questi sviluppi in parte aiutano a rassicurare chi si era sentito tradito dall’atteggiamento timido del partito laburista sul tema Brexit in questi ultimi anni.

 

Un po’ di sano realismo

Tuttavia occorre essere realisti: il partito laburista è all’opposizione, contiene al suo interno una minoranza euroscettica (si stima che circa un quarto dei propri iscritti abbia votato a favore di Brexit) e la priorità per il partito sono le elezioni anticipate per poi condurre direttamente i negoziati.

Questo sarebbe un bene: i laburisti sono a favore di un’unione doganale con l’UE, il che risolverebbe il problema della frontiera nell’Irlanda del Nord, il punto principale di rottura durante il vertice di Salisburgo – e lavorerebbero per una Brexit la più leggera possibile.

Detto questo, le elezioni anticipate rimangono una possibilità remota: seppure i conservatori siano avanti nei sondaggi di ben 4 punti sul partito laburista (il quale, data la conformazione dei seggi uninominali, si dice abbia bisogno di un vantaggio di almeno 3-4 punti per avere una possibilità di vittoria), è improbabile che i conservatori se la sentano di rischiare dopo il pessimo risultato alle elezioni del 2017.

 

Una maggioranza fragile

A prescindere dall’andamento dei negoziati, bisogna chiedersi se in questa Camera dei Comuni qualsiasi tipo di accordo possa riuscire ad ottenere la maggioranza dei voti in parlamento. La maggioranza è fragile e divisa tra posizioni opposte, che vanno dai brexiteers più incalliti, al partito unionista DUP fino ai conservatori più moderati mentre gradualmente si avvicina la fatidica scadenza del 29 Marzo 2019: la probabilità di una Brexit senza accordo cresce di giorno in giorno.

La premier May ha sempre affermato che è meglio non avere un accordo che un cattivo accordo e alcuni tra i conservatori più estremisti come Jacob Rys-Mogg caldeggiano questa opzione pur di uscire dall’Unione Europea. In quel caso lo scambio commerciale dovrà affidarsi alle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio con barriere tariffarie che variano dal 10% per le automobili al 44% per la carne ovina mentre per tutto il resto ci si dovrà affidare a piani di emergenza bilaterali che alcuni paesi europei stanno cominciando a preparare.

Una Brexit senza accordo comporterebbe un duro colpo economico per il Regno Unito, alterando in maniera improvvisa i propri modelli di produzione e distribuzione. Insomma, l’incertezza regna sovrana. Se non si trova un accordo, occorre sperare che i conservatori sappiano anteporre l’interesse nazionale a quello del proprio partito ricorrendo ad elezioni anticipate invece di arrivare ad una Brexit senza accordo. Purtroppo la posta in gioco, ovvero l’uscita dall’Unione Europea, è percepita proprio come un obiettivo prioritario di interesse nazionale se non il coronamento dell’agenda politica di moltissimi deputati conservatori ex-UKIP.

 

Gli scenari possibili

Comunque, data la rapida evoluzione degli eventi non si può veramente escludere nessuno scenario come messo in evidenza negli ultimi anni, dalla elezione totalmente inaspettata di un esponente di secondo piano della sinistra radicale a leader del partito laburista, come nel caso di Corbyn nel 2015 o nel caso dell’esito del referendum sulla Brexit nel 2016. È con questo misto tra incertezza, confusione e speranza che dobbiamo guardare ai piccoli ma chiari segnali emersi dal dibattito sul secondo referendum dalla conferenza laburista di Liverpool.

 

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