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Calenda, Zingaretti, Salvini: prove di consenso

Antonio Preiti martedì 10 Luglio 2018
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di Antonio Preiti

 

I leader agiscono, cioè organizzano, mobilitano, orientano la popolazione. Questo è quello che si dice dei leader. Ed è giusto. Quello che non si dice, è che i leader sono anche “agiti”, cioè sono usati dalla popolazione per raggiungere certi obiettivi. È così che si spiega il declino, altrimenti impensabile, di alcuni leader di grande valore, di successo, e pure carismatici. Basta solo l’esempio di Churchill: aveva rinvigorito il sentimento dell’Inghilterra nell'”ora più buia”, vinto la guerra, riaffermato i valori occidentali; eppure alle prime elezioni ha perso. Ingratitudine? Senz’altro sì, se usiamo i sentimenti; se invece usiamo un giudizio razionale, dovremo dire che ha perso perché aveva vinto, cioè ha perso per aver esaurito il suo compito. I leader agiscono, ma sono agiti. Così funziona.

 

Tre fatti politici importanti

Usciamo però dalle considerazioni storiche (o teoriche) per venire al nostro presente. Di recente tre fatti politici (in politica un testo o un’intervista, o un comizio sono “fatti”) hanno avuto una certa rilevanza. La pubblicazione del “manifesto” di Calenda, che sembra più un’anticipazione (un libro è in uscita in autunno); una intervista, o meglio la “discesa in campo”, di Nicola Zingaretti per la conquista del Pd e il comizio di Salvini a Pontida. Perché mettere insieme questi tre “fatti”? Ovvio che i primi due siano collegati, ma il terzo, rispetto al nostro ragionamento, è collegato ugualmente.

Altra piccola digressione teorica (ma non troppo). Possiamo vedere i tre fatti attraverso una triplice lente interpretativa: i principi, le politiche e la politica.

I principi sono la concezione del mondo del leader o del partito, che è sempre un flusso tra quel che pensa il leader e quel che pensano quelli che lo votano (e, in qualche modo, anche quelli che non lo votano). I principi rispondono alla domanda: perché lo faccio?

Il secondo punto sono le politiche: cioè quel che viene fatto davvero, le decisioni (se stai al governo, ma anche se stai all’opposizione), i provvedimenti, le leggi e così via. Cosa fare (o non fare) per le pensioni, l’immigrazione, la scuola ecc. Le politiche rispondono alla domanda: cosa faccio davvero?

La politica è, invece, il gioco per eccellenza del potere. La politica risponde alla domanda: con chi lo faccio? Sono le alleanze, è il gioco governo-opposizione, è la dialettica amico-nemico. Ovviamente c’è un legame sottostante tra le tre istanze, ma per fare chiarezza conviene tenerle separate. Ricapitolando: perché lo faccio; come lo faccio; con chi lo faccio.

 

Il discorso di Calenda

Sembrano domande astratte, ma entriamo subito nell’attualità. Calenda, in gran parte, fa un discorso da leader che agisce. Sostanzialmente fa centro sull’Italia, intesa come una società che per avere un futuro deve trovare la sua collocazione nel mondo, difenderla e svilupparla.

Il suo riferimento alla scuola, alla conoscenza è il driver di tutto, e lo mette in sintonia con quel che vediamo nel mondo, dove effettivamente vincono le imprese tecnologiche (cioè fondate sulla conoscenza). Sostanzialmente parte da princìpi di totale aderenza alla cultura e alla storia occidentali (senza enfasi identitarie) e s’incarica di descriverne le conseguenze sulle politiche (le innovazioni, lo sviluppo, le imprese, ecc.).

La sua patria è l’Europa; le sue politiche l’avveramento di questo universo valoriale e identitario. Il fronte repubblicano, di cui non sono chiari i contorni e la composizione, è la sua parte politica, quella più debole, ma forse non è la cosa più importante.

È la parte da leader “agito” che è più importante. L’opinione pubblica italiana non sembra sintonizzata con questo suo sentire che svela illusioni a buon mercato, combatte i “pasti gratis” (che, com’è noto, secondo gli economisti non esistono). È piuttosto una società spaventata dalle innovazioni, impaurita dal distacco dalle tradizioni, bisognosa di rassicurazioni, nella forma di redditi di cittadinanza, pensioni più facili e così via. Il problema di Calenda, se escludiamo che l’avversario sbagli il rigore, sembra proprio questo: come inverare emotivamente, cioè in maniera persuasiva, un’opinione pubblica che sembra voler agire su altre e opposte lunghezze d’onda. Problema non da poco.

 

Dove si colloca Zingaretti

Su queste lunghezze d’onda sembra, invece, volersi collocare Zingaretti. Il suo centro sembra l’accoglienza di almeno una parte delle istanze sentimentali che arrivano dall’opinione pubblica mixandoli, o rimixandoli, con la cultura tradizionale della sinistra europea.

Non c’è molto sui princìpi, anche perché non ce n’è bisogno: la sua cultura politica è nota. Il suo centro, come forse è ovvio, è l’universo del Pd.

La parte politica, cioè delle alleanze, al netto di ciò che potrà succedere nel mondo del Cinque stelle, sembra puntare su una scissione se non del Movimento, almeno degli elettori da quel movimento.

Il punto debole sembra quello delle politiche. Oggi una maggiore connessione sentimentale con l’opinione pubblica passa per decisioni che non stanno esattamente nell’alveo della sinistra tradizionale. Prendiamo il caso dell’immigrazione. Zingaretti si rifà a Minniti, perciò non crede nell'”accogliamoli tutti”, ovviamente non crede alle politiche salviniane, e soprattutto ai suoi principi ispiratori. Lo stesso avviene per altri argomenti, come la criminalità diffusa e altro ancora; si considerano le istanze dal basso, ma non c’è (ancora) il dispositivo che faccia vedere a tutti che siamo su un terreno nuovo. In sostanza, quali sono le innovazioni nelle politiche che potrebbero portare a una nuova sintonia tra società italiana e Pd? Non è chiaro.

 

Il punto di forza di Salvini

Sono proprio le politiche il punto di forza attuale di Salvini. Le decisioni che prende, o che dice di voler prendere, sembrano oggi portarlo a una sintonia maggioritaria con l’opinione pubblica. Mentre la maggioranza del Paese, neppure in un momento di massimo gaudio, sembra volergli attribuire la maggioranza assoluta, le sue singole iniziative sembrano tuttavia ottenerla.

Qui c’è la discrepanza maggiore tra principi, politiche e politica per Salvini.

Anche sulla politica i “fatti” di Salvini sembrano essere chiari: ha sempre pronta l’alleanza di centrodestra se dovesse fallire (o non continuare) quella gialloverde.

Sui principi, invece, nonostante l’approvazione delle politiche, non sembra avere la maggioranza del Paese, neppure relativa. Adesso è difficile dire quali siano esattamente i suoi princìpi, o quelli dei suoi elettori, o meglio di una parte dei suoi elettori. Quanti sono accettabili e quanti vanno assolutamente contro qualunque idea di liberalità, tolleranza e apertura al mondo. Però la frattura, che deve pur esserci, tra principi e politiche è la sua maggiore debolezza, e forse è la faglia in cui la sinistra potrà inserirsi. Quanto agisce Salvini? E quanto è agito? E da chi e perché?

 

Il mutamento antropologico del paese e il problema di politiche nuove

Se si arrivasse alla conclusione che principi e politiche coincidono, vorrà dire che c’è un mutamento antropologico del Paese, un non riconoscersi nella nostra storia e nella nostra concezione del mondo. Per l’Italia non sarebbe una gran bella notizia. Se, invece, c’è una distanza tra principi e politiche (cioè che le politiche non nascono dall’avveramento di principi razzisti e quant’altro, ma dall’approvazione della soluzione che appare più efficace al problema com’è posto, o com’è percepito) allora c’è una prateria che si apre, nonostante tutto.

È quella stessa prateria che si potrebbe aprire negli Stati Uniti, in Inghilterra, e in altri paesi dove i movimenti populisti si sono impossessati dell’opinione pubblica. O è vero il contrario, che l’opinione pubblica ha generato i populisti? Quale che sia il nesso causale, e probabilmente si trova in un qualche punto intermedio, resta il problema di politiche nuove, attraenti e convincenti per la maggioranza della popolazione. Oggi più che i principi, o la politica, sembrano centrali proprio le politiche. È proprio nelle politiche che l’agire e l’essere agiti coincidono, dopo tutto.

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