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Cari preti, le omelie dicono poco sull’uomo. E il mondo resta estraneo

Giovanni Cominelli domenica 2 Giugno 2019
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di Giovanni Cominelli

 

I cristiani sono minoranza, tra apostasia silenziosa e disinteresse

Le pretese della teologia politica sono tramontate da tempo, almeno da  Pio XII in poi. Più nessuna illusione di civitas christianae di res-publica christiana. I cristiani sono minoranza nella società e, pertanto, nella politica. Il destino prossimo della Chiesa lo ha molto lucidamente previsto papa Benedetto XVI: sarà quello di gruppi dispersi, di minoranze creative, di semi gettati al vento. Alcuni finiranno sulle pietre, altri faticheranno sul terreno arido e pieno di rovi, altri fioriranno su quello fertile. La Chiesa non sarà più un corpo potente e compatto.

E’ il ritorno alla condizione dei primi tre secoli del Cristianesimo, quando il nuovo movimento religioso, abbandonata nel giro del I secolo la febbrile attesa escatologica, si trovò a costruire la propria strada terrena: i cristiani di provenienza ebraico-ortodossa o ebreo-ellenistica o pagana si amalgamarono lentamente su una piattaforma dottrinale attraverso persecuzioni, eresie, scissioni, conflitti. E’ stato un processo lungo e ininterrotto quello di tenere insieme i cristiani su un unico corpus dottrinale. Quel che è certo che oggi il popolo di Dio non coincide più con il popolo civile e tampoco con il popolo politico. Anzi, non esiste nessun popolo.

Gli effetti di questa caduta sull’ex-popolo di Dio, sui suoi Vescovi e sui suoi Presbiteri sono stati traumatici. Il fenomeno principale è quello dei lapsi – “lapsi”, letteralmente “scivolati”, era il termine latino usato, nel III e IV secolo, per indicare i cristiani che, sotto la minaccia delle persecuzioni, compirono atti di adorazione verso gli dèi pagani -, oggi tali, non perché costretti a scegliere tra le fede e il sacrificio agli dei pagani. No, si sono spontaneamente abbandonati ai nuovi dei, alla corrente di un nichilismo esperienziale, senza meta, senza abisso. “Gaio” lo chiamava Augusto Del Noce. Un’apostasia silenziosa e, apparentemente, senza dolore e senza rimpianto. I cosiddetti atei devoti sono una filiazione dei lapsi. Poi vengono i cristiani in angoscia. La perdita di una base di appoggio e di una protezione civile e politica li ha gettati nel panico. La reazione al quale è, talora, la costruzione di fraternità cherigmatiche settarie, alloggiate in confortevoli catacombe ad aria condizionata. Persa l’illusione di una rappresentanza politica maggioritaria, si attaccano a chiunque faccia baluginare loro davanti qualche chicco di rosario. E’ una domanda di protezione e una nostalgia della difesa “secolare” della fede a base di leggi dello Stato.

Poi vengono i cristiani pellegrini, quelli che… ineuntes, exeuntes, peregrinamur in terris… La città di Dio è la sola patria, quella umana è un necessario e triste passaggio. Rispetto al quale si può oscillare tra l’indifferenza e l’uso/abuso strumentale. In ogni caso, non è il luogo dell’impegno.

 

Papi, vescovi e preti nella dispersione

Se questa è la fenomenologia realistica della condizione dei fedeli oggi, che ne è dei loro pastori? A questo proposito, si annette un’importanza decisamente esagerata al ruolo dei Pontefici, che vengono di volta in volta indicati dalle opposte fazioni di credenti o come i salvatori o come gli affossatori del Cristianesimo. Accusa che oggi tocca a Bergoglio.
Al di là del carisma di cui i Papi sono stati portatori negli ultimi settant’anni, si deve solo constatare che il distacco dal Cristianesimo in Europa è partito da lontano, dall’Umanesimo/Rinascimento, ed è proseguito lungo tutta la vicenda filosofica e politica europea. Fatale? Certo che no. Frutto di errori, difese, conservatorismi, di cui il Concilio Vaticano I è stato il concentrato. L’usbergo del dogma dell’infallibilità papale si è dimostrato di latta, così come quello dell’Enciclica antimodernista Pascendi di Pio X. Si deve al Concilio Vaticano II il tentativo in extremis e certamente in ritardo di riaprire i canali.

Ma, Papi a parte, qual è la cultura politica dei sacerdoti, dei Parroci, dei curati degli Oratori, dei membri degli Ordini religiosi, delle Fraternità, dei consacrati? Che cosa pensano della “città umana”? Una risposta si può indurre dalle prediche e dai commenti alle Letture durante la Messa. Quasi ogni giorno, ma sempre ogni domenica, i sacerdoti parlano a milioni di cittadini italiani. Come costoro si rapportino alla costruzione della città umana è anche una conseguenza delle omelie domenicali, sia per quel che dicono sia, soprattutto, per quel che tacciono. Ho ascoltato troppe omelie a caso per poter offrire un’immagine ragionata e “scientifica”. Troppe a caso e forse troppo poche. Pertanto, le osservazioni che seguono sono proposte con beneficio di inventario. Se ne può fare sempre una di segno opposto, forse altrettanto fondata.

 

Le omelie della domenica non incidono sulla vita pubblica del credente

La prima è che in moltissime omelie al centro del discorso non sta la concreta e attuale “città umana”, la civitas, ma la vita della comunità dei fedeli e della Chiesa. I discorsi sono largamente introversi, come se il futuro della Chiesa fosse più importante e decisivo del futuro della comunità terrestre degli uomini. Come se l’umanità fosse al servizio della Chiesa e non viceversa. Cioè: al servizio dei suoi riti, delle sue abitudini, dei suoi tempi, insomma, di un altro mondo. I Vangeli sono raccontati come tweet – oggi breviloquia – morali, a edificazione consolatoria per la vita quotidiana. “Offrire le proprie sofferenze a Gesù”, “stare in comunione con Gesù”, “stare in Cristo”, secondo la predicazione paolina, “l’intercessione della Madonna e dei Santi”, “chiedere perdono dei peccati” e espressioni similari non hanno nessun significato dal punto di vista della costruzione di un’etica individuale o pubblica. Come se si aprissero davanti al fedele due sentieri etici: quello del rapporto con Dio e quello del rapporto con gli uomini.

Il primo è quello della salvezza individuale, quella che conta. E’ la vecchia eresia stoico-ellenistica. Il secondo – l’amore del prossimo – non diventa etica pubblica, si riduce a galateo. Si entra in chiesa e si percepiscono le parole di un “mondo a parte”. Il guaio è che quando il cittadino-fedele esce di là nulla è cambiato della sua visione del presente e dei suoi comportamenti. Quando uno partecipa ad una riunione, ad un convegno, ad un seminario, ne esce quasi sempre con un lampo di nuova conoscenza sul mondo e ne tira delle conseguenze sul piano delle scelte personali e pubbliche.

Mediamente da una chiesa uno esce esattamente come è entrato. Chiunque acceda ad una riunione comunitaria in una chiesa, si aspetta che il predicatore di turno impasti le parole del Vangelo con gli eventi che arrivano ogni giorno dai mass media e occupano per intero l’orizzonte della nostra coscienza e ne cavi qualche suggerimento per migliorare il mondo, renderlo più umano e vivibile. Si attende che lo faccia, senza diplomatismi, senza paura, con tutta la forza critica necessaria e impopolare, quando è il caso, se è vero che alla Parola si attribuisce l’efficacia sacramentale della salvezza. Ci si attende che qualcuno ci faccia sbattere il muso sulla realtà del mondo oggi e che, conseguentemente, susciti energie di responsabilità individuale rispetto alla salvezza del genere umano. Non accade quasi mai. O forse sono solo sfortunato per non aver incontrato la predica giusta? Nella Mater et Magistra Paolo VI ha scritto della Chiesa come “esperta in umanità”, capace di dire all’uomo la verità sull’uomo e di suscitare energie di umanizzazione.  Sì, le Parrocchie sono assai spesso centri di assistenza e di volontariato sociale, agenzie rivolte ad un’adolescenza educativamente abbandonata dalle famiglie. Praticano la costruzione della città umana. Ma resta uno iato tra la loro pratica e la loro Parola.

 

I preti sono poco informati sulla umanità di oggi

Eppure il Cristianesimo e la Chiesa/le Chiese dispongono a tutt’oggi di un fondamentale messaggio di salvezza per la specie homo sapiens: quello della finitudine del progetto umano nella storia, quello del valore assoluto della persona, quella della responsabilità verso gli altri, verso la specie e verso la Terra. Ma pare che i sacerdoti, quelli più anziani e ancor di più quelli nuovi, siano scarsamente formati/informati sullo stato dell’umanità oggi, sul disordine globale, sul bene e sul male del mondo. Informati/formati sul mondo-Chiesa, non sul mondo-mondo.

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1 Commenti

  1. mario oliari domenica 2 Giugno 2019

    Sono più ottimista. Io confido che anche lo Spirito faccia qualcosa e nessuno vieta ai laici cristiani che escono di chiesa la domenica , dopo aver ricevuto crsto, di impegnarsi nel mondo senza essere del mondo !
    Cordialità.
    Mario Oliari.

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