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Caro segretario, serve una vera opposizione

Umberto Minopoli sabato 14 Luglio 2018
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di Umberto Minopoli

Caro segretario,

è mia opinione (da semplice iscritto al Pd) che l’opposizione nostra sia fiacca, imbarazzata e ambigua sui temi del lavoro, delle pensioni e, in generale, della politica sociale di cui è titolare il vicepremier Di Maio.

Né i toni, né i contenuti della nostra opposizione alla politica di Di Maio sono minimamente paragonabili a quelli opposti agli atti del vicepremier Salvini. Non credo c’entri la diversa qualità degli atti. C’entra una pregiudiziale politica: per una parte del Pd il nemico è la “destra”, l’alternativa è alla “destra”. Non al populismo. E non ce la caviamo dicendo che il populismo è di destra (errore che la sinistra ha fatto per altri fenomeni sociali). Noi lo sappiamo (o dovremmo saperlo) che ovunque sovranismo e populismo hanno motivazioni e sostenitori di sinistra. È questa la novità allarmante del populismo di oggi.

La politica del lavoro del ministro Di Maio è altrettanto pericolosa e odiosa verso i più deboli di quanto lo è quella di Salvini verso i migranti. Il proposito (e gli atti conseguenti) di smantellare il Jobs Act e la legge Fornero (liquidando la regola dell’aspettativa di vita) ha un preciso (e odioso) indirizzo sociale distruttivo: quello dei giovani italiani in età da lavoro. Che si vedono falcidiare, con questo duplice atto, sia le prospettive di un impiego che quelle della pensione domani.

Tutti gli atti promessi o annunciati dal ministro Di Maio (contro i contratti a termine, sulle delocalizzazioni, sul lavoro somministrato, sulle multinazionali, ecc) hanno in comune il filo rosso del populismo pentastellato: un mercato del lavoro dirigista, fatto di regole, punitive delle imprese, sulla carta cui corrisponde la fuga degli investitori e la crescita della disoccupazione giovanile. Che, secondo il venezuelano ministro del Lavoro, deve essere fronteggiata fronteggiata col reddito di cittadinanza. Sussidio (a vita?) invece che lavoro.

Una volta la sinistra avrebbe definito Di Maio un “macellaio sociale”. Oggi, a vedere Damiano, Orlando, Camusso e Landini, l’applaude. È gravissimo, caro Martina, che sul decreto Di Maio l’unico atto del Pd, sinora, sia una proposta di Damiano peggiorativa dei misfatti annunciati dal ministro. È gravissimo che sulla legge Fornero le uniche posizioni pubbliche del Pd ricalchino, pedissequamente, la quota 100 del governo gialloverde. È gravissimo che Confindustria, gli artigiani, i piccoli imprenditori, il mondo del commercio siano lasciati soli nella battaglia per difendere il Jobs Act e contrastare gli arretramenti proposti da Di Maio. È gravissimo che l’unica proposta migliorativa del Jobs Act (peraltro in linea con gli atti dei governi del Pd), la decontribuzione come premio alla trasformazione di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, l’abbia fatta Berlusconi (c’è destra e destra, prendiamo atto, in questo caso). Tutto ciò è troppo per far pensare a iniziative casuali o eccentriche. Rischia di far pensare che, dietro queste posizioni del Pd, ci sia un disegno politico: calibrare l’opposizione distinguendo tra Lega e Cinque Stelle. E cedendo su un punto che dovrebbe essere di principio per (tutto) il Pd, da Gentiloni a Orlando compresi: la difesa strenua, accanita, senza se e senza ma, del Jobs Act, la legge migliore, e con risultati conteggiabili (all’Istat) dei governi del Pd.

Su questo la linea del Pd appare più preoccupata di ammiccare alle sconclusionate posizioni ideologiche della irriconoscibile Cgil di Camusso e Landini, che a una oggettiva valutazione dei risultati e delle innovazioni di una legge, il Jobs Act, fatta dal Pd.

Sul carattere e la qualità dell’opposizione – a tutto il governo populista e senza “due pesi e due misure” su Salvini e Di Maio – tanti iscritti, che hanno assistito delusi al mortificante dibattito in Assemblea, non aspetteranno le mozioni congressuali nel 2019, per decidere se continuare a darvi sostegno. Decideranno subito: guardando a come fate l’opposizione.

Umberto Minopoli,
un iscritto

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