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Ceccanti: “solo un Pd forte può ricomporre il campo alternativo alla destra”

Redazione giovedì 20 Ottobre 2022
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Intervista a cura di Mario Nanni, direttore editoriale di Beemagazine

 

Onorevole professor Ceccanti, Lei è una vittima di una perversa legge elettorale. Non crede che il Pd, che pure la votò, dovrebbe porsi alla testa di una campagna politica per votare una legge elettorale che dia ai cittadini effettivo potere di scelta ed eviti distorsioni nella rappresentanza?

Direi qui tre cose. Anzitutto terrei distinto il problema del perdere le elezioni dalla legge elettorale. Quando si va in una campagna elettorale bisogna partire dalla legge che c’è e se si perde bisogna chiedersi se si è agito in coerenza con quella che c’è. La legge prevede coalizioni pre-elettorali: alcune non erano fattibili per ragioni politiche (quella coi 5 stelle dopo la crisi Draghi) e altre si sono tentate ma non sono riuscite (quella al centro), probabilmente con una quota di errori ciascuno.

Altra cosa è ragionare se sia opportuno per il futuro cambiare la legge, ma non perché quella esistente ci ha fatto perdere. Messa così, con questo argomento, sarebbe peraltro un atteggiamento di impotenza: a quel punto perché chi ha vinto grazie a quella dovrebbe volerla cambiare?

E venendo ai contenuti di una buona legge elettorale?

Veniamo ai contenuti di una buona legge elettorale, buona per i cittadini, per il sistema. Sulla scelta dei rappresentanti le liste bloccate sono delegittimate e i collegi uninominali sono per un verso troppo grandi e per altro verso soggetti a trattative di spartizione nelle coalizioni. L’alternativa però non può essere il voto di preferenza perché a livello nazionale, a differenza di quanto accade per Comuni e Regioni, esso si baserebbe su circoscrizioni pluriprovinciali con altissimi costi delle campagne e forte peso di gruppi organizzati, interni ed esterni ai partiti. La soluzione preferibile pare essere quella di eleggere tutti i parlamentari, come nel vecchio Senato o nelle vecchie province, con il collegio uninominale proporzionale di partito che a quel punto comprenderebbero poco più di 100 mila elettori alla Camera e 200 mila al Senato. Il candidato sarebbe ben visibile e questo retroagirebbe anche sulle modalità di scelta da parte dei partiti.

Sulle leggi elettorali vigenti che cosa dunque si può dire?

Sulla formula elettorale non è di per sé un difetto che una maggioranza relativa in voti possa essere trasformata in maggioranza assoluta in seggi, consentendo che il cittadino sia arbitro del Governo. Le leggi elettorali vigenti sono criticabili non perché aprano a questo principio ma perché il loro concreto funzionamento è esposto a due esiti opposti, entrambi non desiderabili: o la mancanza di una maggioranza in seggi o una maggioranza che si possa avvicinare ai quorum di garanzia, a cominciare da quelli dei tre quinti per l’elezione dei membri laici del Csm e dei giudici costituzionali di spettanza parlamentare.

Per queste ragioni appare più equilibrato predeterminare il livello di disproporzionalità non affidandolo a collegi uninominali maggioritari ma ad un premio di maggioranza. La Corte costituzionale ha già stabilito che è conforme a Costituzione attribuire, a chi ottenga il 40% dei voti, il 54% dei seggi e non ha precluso forme di ballottaggio nazionale, purché siano possibili nuovi apparentamenti tra primo e secondo turno qualora nessuno raggiunga tale soglia.

Si fa politica anche da non parlamentare. Le domando: su quali temi orienterà le sue iniziative?

Ovviamente su quello su cui ritengo di avere una maggiore competenza, i temi istituzionali.

Il centrodestra ha la maggioranza sia alla Camera sia in Senato. E tuttavia le domando: prevede una navigazione tranquilla? Come funzionerà questo Parlamento ridotto?

Difficile fare previsioni sul medio e lungo periodo. Probabilmente di tranquillo ci sarà ben poco perché le divisioni interne della maggioranza sono forti. Non sopravvaluterei l’elemento della riduzione dei parlamentari, che ha un’importanza sistemica molto minore di quello che appare.

Le opposizioni parlamentari al centrodestra sono divise in tre tronconi: il Pd, i 5 stelle di Conte e il cosiddetto terzo polo di Calenda e Renzi. Ritiene praticabile un cartello delle opposizioni perlomeno su grandi temi?

No, perché almeno sul breve termine gli obiettivi non sono conciliabili. M5s e Terzo Polo condividono un assunto: credono che il Pd sia un progetto ambiguo che debba scomparire, aderendo in parte all’uno e in parte all’altro soggetto, facendo cioè la fine dei socialisti francesi in mezzo tra Melenchon e Macron. Io non credo che sia così e confido che il Pd, superata la scadenza congressuale di marzo, dimostrerà di poter funzionare da calamita anche delle altre opposizioni, ma ci vuole appunto tempo.

Al tempo dei primi governi Berlusconi, fu costituito il “governo ombra”, con grandi personalità della sinistra. Questa ipotesi la considera impraticabile o auspicabile? 

Quell’esperienza funzionava bene e fu soppressa senza reali motivi. Era utilissima perché mentre il Governo è unico, l’Opposizione fa fatica a coordinare Camera e Senato e a entrare anche in una logica di prospettazione di alternative in positivo se non si dà uno strumento pensato per questo.

Sarebbe comunque utile? E quali condizioni dovrebbero prima realizzarsi?

Bisogna che prima si concluda l’itinerario congressuale.

Ho lasciato per ultimo, ma non certo per importanza, il tema della crisi della sinistra. Qualcuno-Rosi Bindi per esempio, ma non solo lei-ha proposto lo scioglimento del Pd. E ha definito il congresso un accanimento terapeutico. Lei è d’accordo?

Questo approccio masochistico porterebbe a dissolvere il soggetto più consistente per farlo confluire in parte sul M5s e in parte sul Terzo Polo, sempre più distanti tra di loro. A quel punto il centro-destra come minoranza più grande, anche se forse ridimensionato un po’ dal logoramento del potere, avrebbe serie prospettive di continuare a vincere per le divisioni altrui. Solo un Pd forte può ricomporre il campo alternativo alla destra.

Anche i più severi critici di Enrico Letta ammettono che non si possono caricare sulle sue spalle le responsabilità della sconfitta elettorale. Premesso questo, Lei quali critiche muove al segretario?

Non mi interessa criticare personalmente il segretario, caricandogli tutte le colpe. Il punto è che ci siamo presentati, per difetti non solo di breve periodo, senza una proposta di Governo, con una coalizione piccolissima, una parte della quale (quella con Sinistra Italiana e Verdi) presentata esplicitamente da noi come mera alleanza elettorale per perdere meglio. Bisogna risalire alle cause che hanno determinato questo, a partire dalla segreteria Zingaretti, più che criticare solo gli effetti finali gestiti da Letta.

ll Pd oltre al segretario deve cambiare pelle? Riscoprire un’anima, una vocazione popolare e sociale?

Mi sembrano indicazioni un po’ generiche. L’anima del Pd è data dalla sua funzione, quella di essere il perno di una proposta di Governo di centrosinistra. I contenuti sono determinati dal contesto storico e concreto, la funzione invece è permanente e suppone di rapportarsi anzitutto all’elettorato del Pd, reale e potenziale.

Cosa risponde a chi definisce il Pd un partito della ztl, che ha perso la connessione con i tradizionali e storici riferimenti sociali?

Questo problema lo vediamo non da oggi e non solo in Italia, basti vedere il voto negli Usa o quello sulla Brexit e non ha riposte semplici perché tradizionalmente l’integrazione delle masse nello Stato si faceva espandendo la spesa pubblica, oggi non più possibile. Eviterei però di fare nei confronti degli elettori delle cosiddette ztl, dove peraltro siamo insidiati dai centristi, quello che fanno spesso i sacerdoti che la domenica si lamentano di chi non va a messa angosciando per questo quelli che ci vanno.

Una domanda che può sembrare provocatoria, non certo verso di lei che è uomo di studi e combattente: ora il Pd dovrà fare l’opposizione, sulla carta per 5 anni. Ma come farà, abituato com’è da dieci anni alla gestione del potere?

Siamo comunque in una situazione che non ci dà alternative e il percorso congressuale può certo aiutarci in questa chiave.

Quanto manca alla sinistra la figura del Federatore, che con il suo carisma, prestigio e storia personale riesca a unire, a far superare i contrasti? Il centrodestra ce l’aveva, ma Berlusconi ormai è solo un alleato minore, per giunta poco ascoltato. E a sinistra?

A sinistra noi abbiamo lo strumento fondamentale delle primarie aperte per il segretario del Pd, uno strumento forte che nessuno ha nel campo alternativo alla destra. Usiamolo bene perché quello sarà il passaggio chiave a marzo del percorso congressuale.

Infine una domanda al costituzionalista: come giudica il presidenzialismo di Giorgia Meloni?

Il testo presentato nella scorsa legislatura era confuso. Non escludo però che ci possa essere una svolta pragmatica più nel senso del premierato. Le riforme dovrebbero accompagnare processi reali e in fondo le elezioni ci hanno già dato, pur con un sistema elettorale criticabile, una legittimazione diretta di una maggioranza e di una candidata a guidare il Governo. Si tratta di perfezionare il sistema elettorale e di introdurre disincentivi costituzionali contro le crisi in corso di mandato.

Per le riforme costituzionali, eventualmente, vedrebbe meglio un’assemblea Costituente eletta su base proporzionale o una commissione bicamerale (che finora non ha portato fortuna)?

Sono i partiti presenti in Parlamento che devono fare accordi con strumenti parlamentari, non inventandosi sedi separate e parallele al parlamento.

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