di Vittorio Ferla
In occasione della visita di Luigi Di Maio a Mosca di alcuni giorni fa, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha ricordato – con una punta di perfido sarcasmo – che l’Italia ha una tradizione di diplomazia gentile, attenta alle ragioni della collaborazione e della pace. Ma proprio venerdì scorso Mario Draghi ha ricordato che questa diplomazia si esprime nella solida trama delle relazioni transatlantiche. L’adesione dell’Italia all’Unione europea e alla Nato è un pezzo dell’identità costituzionale del nostro paese. E, sul punto, il presidente ha richiamato tutti i partiti rappresentati in parlamento all’unità. Non si tratta di un invito retorico. Nel corso di questa legislatura, infatti, l’ancoraggio europeista e atlantista dell’Italia è stato seriamente sabotato dai partiti populisti che hanno vinto le elezioni del 2018 sulla base di un programma di fuoriuscita dall’Euro e dalla Nato. Bisogna pertanto ringraziare la determinazione di Sergio Mattarella, oggi in un provvidenziale tandem con Mario Draghi, se il nostro paese ha resistito ai ripetuti sbrachi dei populisti italiani filo-russi (e filo-cinesi), specie durante gli anni dei governi gialloverde e giallorosso guidati da Giuseppe Conte.
Dopo gli applausi unanimi in parlamento, bisognerebbe ricordare che fino a pochi minuti prima dell’attacco di Mosca contro Kiev c’era ancora chi – dalla Lega al M5s – faceva spallucce, nel nome dell’amicizia con Vladimir Putin. Matteo Salvini, per esempio, ci ha messo molte ore prima di criticare esplicitamente il presidente russo. Alla fine, se l’è cavata con una goffa scenetta: si è fatto fotografare tutto contrito mentre depone fiori bianchi e gialli all’ambasciata ucraina con tanto di segno della croce rivolto alla targhetta dorata. Sempre meglio che citofonare a casa della gente a caccia di tossici, certo, ma non abbastanza per farci dimenticare di essere, da un pezzo, il più convinto fan italiano di Vladimir Putin. Spesso in una corrispondenza di amorosi (e sovranisti) sensi con Giorgia Meloni, a onor del vero. I media e la rete sono pieni di dichiarazioni e immagini (con felpa d’ordinanza) del leader della Lega in funzione antieuropea e pro-russa. Più volte Salvini ha definito Putin “uno dei migliori uomini di governo al mondo”. Sulla collocazione dell’Italia nell’Ue è stato più volte chiaro: “Preferisco Putin all’Europa”. La sua strategia di alleanze in salsa populista e antieuropea è stata sempre esplicita: “Faremo la storia con Putin-Le Pen-Trump”. Nel dittatore russo, Salvini ha visto perfino un faro per la politica nazionale: “Con Putin in Italia staremmo meglio”, ha detto Salvini in passato. Insomma, per il capo della Lega, “Putin è speranza”. E così, anche a pochi minuti dall’attacco della Russia all’Ucraina, Salvini ha continuato a cincischiare. “Le sanzioni contro la Russia sono l’ultima delle soluzioni, anche perché non vedo quali interessi abbia la Russia a scatenare un conflitto, perché la situazione della pandemia ha danneggiato tutti”, ha avuto la sfacciataggine di affermare. Per poi aggiungere: “Io sono un amico della pace, con la Russia il dialogo è per me fondamentale, ma poi finisco sui giornali come ‘amico di Putin’: semplicemente non vorrei regalare la Russia alla sfera di influenza cinese”. Finalmente, dopo l’imbarazzato silenzio di buona parte della Lega, Salvini ha rotto gli indugi nelle ultime ore stigmatizzando l’azione militare di Mosca. Una resipiscenza decisamente tardiva, come non ha mancato di sottolineare polemicamente Enrico Letta, segretario del Pd.
Ma Salvini non è stato l’unico groupie di Putin. Non bisogna infatti dimenticare che una proiezione antiatlantica e filorussa ha caratterizzato fin dall’inizio il M5s (ancora oggi il partito di maggioranza relativa in questo parlamento). Il programma politico dei grillini prevedeva esplicitamente l’uscita dalla Nato e dall’Euro. Manlio Di Stefano, deputato pentastellato per due legislature e oggi perfino sottosegretario agli Esteri, è stato a lungo l’ambasciatore dei Cinquestelle a Mosca e più volte si è espresso in favore della Russia contro l’Ucraina, chiedendo pure la sospensione delle sanzioni decise dai paesi europei dopo l’invasione della Crimea. Almeno così è stato fino alla recente – e mai spiegata – conversione per ragioni d’ufficio. Difficile dimenticare che Alessandro Di Battista, da sempre punto di riferimento dell’ala movimentista grillina, è da sempre un fiancheggiatore di Putin e dei suoi alleati autocrati (come Maduro in Venezuela) e fino a pochi minuti prima dell’attacco all’alba di ieri scriveva su Facebook un post distensivo verso il leader russo. Per fortuna, l’altro dei due Dioscuri grillini, Luigi Di Maio, dopo un passato da incendiario delle alleanze transatlantiche dell’Italia, ha fatto una discreta gavetta da ministro di quasi tutto in ogni governo nazionale. Una gavetta che gli ha imposto un lento processo di riconversione, emancipandolo dal brodo primordiale del M5s. Ma non si può tacere sul fatto che, appena un anno fa, Di Maio aveva conferito vari tipi di onorificenze della nostra repubblica a improbabili oligarchi russi, alcuni dei quali accusati di corruzione e altri iscritti nella lista nera dei sanzionati dall’Unione europea. Infine, come dimenticare la parata militare per le autostrade italiane che il governo di Giuseppe Conte consentì all’esercito russo nel 2020, mentre gli italiani erano chiusi in casa per il lockdown?
Sulle responsabilità politiche delle forze populiste italiane pesano pure i sospetti di aver ricevuto finanziamenti diretti da parte della Russia. Sul punto non è ancora stata fatta chiarezza e, forse, dobbiamo ancora sospendere il giudizio. Tuttavia, non ci stupiremmo affatto se, domani, questi aiuti economici venissero documentati. Certissima è, invece, la pesante ingerenza cibernetica della Russia sulle campagne elettorali al fine di aumentare i consensi dei partiti sovranisti e di fomentare la polarizzazione delle società occidentali. Sappiamo ormai con certezza che l’inquinamento delle elezioni politiche in America e in Europa (Italia compresa), soprattutto mediante la produzione sistematica di fake news sui social network, è stato in questi anni un pilastro dell’offensiva strategica di Vladimir Putin. Un’offensiva che ha favorito proprio la Lega e il M5s.
Finalmente, dopo la tracimazione militare della Russia di questi giorni, anche i più ottusi putiniani italioti sono costretti a fare marcia indietro e ripetere a pappagallo quello che hanno sentito dire a Mattarella e Draghi. Meglio così, suvvia. La paccottiglia populista si rivela del tutto inadeguata per governare questa crisi, mentre diventa cruciale rivalutare il ruolo della Nato, riconoscere la necessità di sanzioni adeguate, ricompattare il mondo occidentale. Venerdì lo ha ripetuto Mario Draghi, chiedendo a tutti i partiti di “restare uniti” in questo momento drammatico. La verità è che non possono esserci dubbi sulla posizione da assumere nel dilemma tra democrazie liberali e autocrazie militari (forse lo hanno capito anche i populisti di casa nostra). Milioni di europei si opporranno all’aggressione dell’autoritarismo contro la pace, la sicurezza, la prosperità e la libertà. Anche l’Italia, unita nell’Europa e nella Nato, è chiamata a fare la sua parte.
Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de ‘Il Riformista’, si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).