di Gentian Alimadhi
Che succede in Albania? Negli ultimi giorni spesso vengo interrogato dai miei amici parmigiani sulla situazione albanese; la risposta che dò è che assistiamo al ricorrente regolamento di conti tra i due partiti (e mezzo) che da 30 anni a turno saccheggiano il nostro piccolo Paese. Perché due partiti e mezzo? Perché due sono i partiti principali con un terzo, minore per numero di consensi ma determinante, che fa da ago della bilancia.
Ma come, non è l’Albania un paese in piena esplosione economica, turistica e via dicendo? Io ribatto dicendo che la propaganda può essere utile se mantiene una qualche corrispondenza con la realtà. La mia esperienza personale e professionale purtroppo mi fa testimone di decine di telefonate che ricevo ogni giorno dal Paese delle Aquile, di persone che hanno lasciato da giovani l’Italia, per costruirsi un futuro nella terra nativa e che, dopo 6-10 anni di delusione, vogliono di nuovo rientrare nel Paese che li ha accolti.
Ebbene, è triste vedere quei giovani che 10 anni fa lasciavano entusiasti l’Italia per stabilirsi definitivamente in Albania chiedermi, delusi e depressi, di poter riavere quel benedetto permesso di soggiorno ormai scaduto. È un dramma che tante famiglie albanesi stanno attraversando, costrette ad abbandonare il Paese per trovare nuove opportunità nei paesi europei. Mi chiedo quale sia il migliore termometro per misurare la febbre di questo paese che non cresce se non cercare di comprendere il perché di questa loro dolorosa scelta. Sappiamo che abbandonare la propria terra non è certamente facile, lasciare i genitori anziani ai quali non interessa la ricerca della ricchezza bensì vedere la famiglia unita, altrettanto. Ebbene, l’unanime risposta che accomuna questi disperati umani è: non c’è speranza nel futuro, non esiste la fiducia nella classe politica albanese, corrotta fino alla punta dei capelli, che non ha saputo costruire un accettabile welfare sanitario e pensionistico, né dotarsi di una democrazia di livello e qualità europei.
Il livello di corruzione raggiunto dal sistema non ha paragoni neppure con quanto constatiamo nella vicina Grecia o in certe aree del mezzogiorno d’Italia segnate dalle mafie. Se la situazione greca può essere paragonabile a quella del sud d’Italia, quella albanese potrebbe trovare riscontri soltanto in determinati paesi dell’America latina, laddove non trova spazio e vita una pur insufficiente resistenza politica e morale. Per entità e gravità dei casi di corruzione che vedono coinvolti parlamentari, ministri e sindaci legati o sottomessi comandati a bande che gestiscono traffici illeciti, rendendo il traffico della droga una delle principali attività del Paese, si viene a creare una situazione non paragonabile ad alcuna altra nel continente europeo.
E cosa fa l’Unione Europea? Beh, ho la sensazione che all’Europa, in particolare, ed all’intero contesto internazionale, in generale, interessa più la stabilità geopolitica della regione che la democrazia e lo sviluppo economico e civile dell’Albania e degli altri Paesi balcanici. La classe politica albanese questo lo ha capito da subito e ne ha approfittato per continuare imperturbata e indifferente ai doveri civici ed etici a saccheggiare economicamente e soprattutto moralmente la propria gente, gente che ancora sente le ferite della lunga dittatura comunista.
L’ultima protesta avvenuta a Tirana? Non si discute se il governo attuale debba o no andare a casa per dare luogo ad una stagione di vere riforme. Non si tratta d’altro che una lotta fra gruppi di potere che vogliono prevalere l’uno sull’altro. Quel popolo subisce una alternanza che continua ormai da trent’anni; e guai a parlare di destra e sinistra in Albania: se il discrimine di carattere ideologico si fa sempre più fluido in paesi come l’Italia, figuriamoci in un paese dove l’unica regola del gioco è come fare i soldi, a qualsiasi costo. Così si spiega l’assenza totale di volontà (o forse l’impossibilità) di assolvere i compiti imposti dall’Unione Europea per prendere in seria considerazione l’ingresso nella Comunità.
Insomma, servirebbe una protesta del genere, pacifica e senza vittime finalizzata a scalzare in modo democratico le onnipotenti oligarchie della politica albanese che regnano da 75 anni, in totale continuità con il regime totalitario che inflitto al Paese profonde ferite. L’auspicio sarebbe quello di un completo radicale rinnovamento, con il subentro di una forza nuova, mai vista prima, educata con un respiro liberal-riformista tipico dei paesi occidentali più sviluppati. Un sogno questo, al quale la comunità italo-albanese, la meglio integrata fra quelle che sono approdate in Italia negli ultimi 25 anni, potrebbe, anzi, dovrebbe dare un proprio fondamentale contributo. Purtroppo, ad oggi nessuna avvisaglia all’orizzonte.
Nato nel 1973 a Fier (Albania) e arrivato in Italia nel 1993, si laurea nel febbraio 2003 in Giurisprudenza presso l’Università di Parma. È un avvocato con studio legale a Parma. Dal 2005 al 2008 è presidente del Consiglio di Rappresentanza degli Stranieri per i comuni di Colorno e Torrile (PR). Nel 2006 fonda l’associazione albanese Scanderbeg (www.scanderbeg.org) in rappresentanza della comunità albanese della Provincia di Parma: dal 2009 è presidente dell’associazione. Nell’aprile del 2010 ottiene la cittadinanza italiana e nel 2011 viene insignito con l’attestato di civica benemerenza.