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di Giovanni Cominelli

 

Una previsione era solidissima fin dai primi di settembre del 2020: che il Covid non ci avrebbe dato tregua e che, pertanto, occorreva impegnarsi per mettere in sicurezza l’anno scolastico 2020-21. Operazione complicata, perché la scuola non è un mondo a parte. Un ragazzo che va a scuola coinvolge la famiglia, da cui muove, i trasporti con cui si muove, l’istituto scolastico verso cui e dentro cui si muove, i compagni con cui si muove… Il guaio è che Covid-19 è il compagno clandestino di questi movimenti. Invece, il Governo e la Ministra Lucia Azzolina avevano deciso che gli Istituti scolastici erano al riparo, sulla scorta dei dati forniti dal Comitato tecnico-scientifico, che isolavano artificiosamente i numeri dei contagi che avvenivano a scuola da quelli che erano imputabili ad altri ambienti. Per la Azzolina nel mese di ottobre i contagi erano lo 0,021% tra gli studenti e lo 0,047%  tra i docenti. Peccato che gli ambienti siano reciprocamente permeabili. Perciò gli Istituti scolastici non sono al riparo dal Covid così come non lo sono i bar, i cinema, le palestre, gli autobus…

Questa percezione realistica avrebbe dovuto orientare fin da settembre le politiche della sicurezza nelle scuole. Il Governo ha sbandato tra le retorica lacrimosa della “generazione perduta all’educazione e al sapere” e l’inerzia pratica totale o le misure comico-costose dei banchi con le rotelle.

Così, oggi al 9 gennaio, si oscilla tra lezioni intermittenti in presenza, rinvii e una DAD precaria, a malapena sopportata dai ragazzi e dai docenti.

Il tutto nel quadro di un scontro-competizione tra Governo e Regioni, la cui posta in gioco è: “a chi resta in mano il cerino dell’impopolarità delle decisioni?”. Il risultato è che l’anno scolastico 2020-21 si avvia ad una mesta fine. I danni che ne vengono per i ragazzi sono descritti quasi ogni giorno dalle ricerche relative alla dispersione, alla povertà educativa, alla condizione psicologica di ansia, incertezza, solitudine, deconcentrazione…

Che fare? L’attenzione continua tuttora ad essere puntata sulla politica dei trasporti, al fine di diluire la massa degli alunni che viaggiano su un numero maggiore di mezzi . Ora, se è stato relativamente facile, nelle aree urbane e metropolitane, in regime di trasporto pubblico, aumentare i mezzi e preparare nuovo personale, non così accade nella grande provincia italiana, dove i trasporti sono prevalentemente privati, ancorché copiosamente sussidiati dallo Stato o dalle Regioni.

Intanto i Dirigenti scolastici, in questi mesi, si sono ingegnati per contrastare l’assembramento degli studenti nelle scuole, recuperando spazi spesso sottoutilizzati, differenziando gli orari di accesso, tra le 8.00 e le 10.00, o alternando i giorni: oggi metà studenti in presenza, l’altra metà in DaD, domani viceversa.

Finora i risultati sono scarsi, al punto che il Governo e le Regioni annunciano aperture/chiusure, sempre a singhiozzo, all’insegna del rinvio, dell’incertezza e dell’impotenza. Pare ci stia rassegnando. Eppure…

Qual è l’ostacolo principale ad una politica di emergenza anti-Covid nella scuola? Si piangono lacrime di coccodrillo sui ragazzi perduti, ma resiste l’ostinato rifiuto di modificare la rigida organizzazione del lavoro e della didattica del sistema scolastico italiano. Mentre il sistema produttivo, quello dei commerci, quello dei servizi alla persona – sanitari in primo luogo – hanno preso atto della straordinaria e drammatica emergenza in corso e hanno faticosamente abbozzato strategie di cambiamento, il sistema pubblico amministrativo e, in particolare, quello di istruzione sono immobili. Una causa decisiva è il ruolo dei sindacati, che esercitano una potente governance negativa, utilizzando sistematicamente il potere di veto, che la politica ha attribuito loro. Così, per esempio, hanno opposto e oppongono resistenza alla DaD, considerando il net-working una modalità di lavoro estranea al contratto e perciò passibile di ricorsi al pretore del lavoro e ai TAR. In effetti, il Contratto nazionale firmato il 19 aprile del 2018 non prevedeva la DaD!

Così si oppongono ai doppi turni!

Che cosa servirebbe nel corso di questo anno scolastico per favorire la deconcentrazione negli istituti scolastici e sui mezzi di trasporto?

1- In primo luogo, rimodulare il calendario dell’intero anno, di cui quasi la metà è ormai quasi perduto. Si dovrebbe adottare uno scaglionamento dei tempi quale si pratica in molti Paesi europei: allungare le vacanze di Pasqua e prolungare l’anno fino alla terzultima settimana di luglio. Fa caldo? Da tempo hanno inventato l’aria condizionata e i relativi apparecchi per produrla. I ragazzi devono lavorare nei campi? Non più! A partire dall’anno scolastico 2021-22, si dovrebbe prevedere la ripresa del servizio dopo il 20 agosto e l’inizio delle lezioni il 1° settembre. E poi: vacanze lunghe una settimana dal 1° novembre e vacanze natalizie come di solito fino a dopo l’Epifania e vacanze lunghe a Pasqua. E termine dell’anno scolastico a fine luglio.

2- In secondo luogo, in questa fase straordinaria, servono i doppi turni, secondo due modalità: o metà ragazzi in presenza e l’altra metà in DaD.  Oppure, visto che la DaD viene considerata come la sentina di tutti i mali psichici dei ragazzi, allora si facciano i doppi turni in presenza, come ai vecchi tempi: metà entra al mattino, metà entra al pomeriggio. Sono necessari, se davvero si vogliono raggiungere due scopi: recuperare il tempo scolastico perduto e diluire la concentrazione delle presenze a scuola. E se non esistono le mense, nelle Superiori e nelle Medie? Non è necessario costruire mense: basta ricorrere al servizio già utilizzato per le Elementari, che pure hanno le mense, ma che, a causa del Covid, non possono utilizzare:  i ragazzi mangiano in classe, sui propri banchi, i pasti forniti dai servizi interni o interni, in contenitori appositi, perfettamente igienizzati.

Per quest’anno scolastico, eccezionalmente, sarà necessario utilizzare anche i sabati.

Impresa impossibile? Non parrebbe. Solo che molti Collegi dei docenti devono, almeno per quest’anno, smetterla di adorare il Vitello d’oro dell’orario confezionato allegramente il 1° settembre 2020 come se il Covid fosse già alle spalle. Quanto ai sindacati, che controllano di fatto l’Amministrazione, tocca al governo assumersi le sue responsabilità e inchiodarli alle loro. Non è tollerabile che lo Stato non sia in grado di mettere il proprio personale al servizio dei cittadini, delle famiglie, gli studenti. Mentre nei settori della produzione, del commercio, dei servizi e della sanità il personale fa i salti mortali per tenere in piedi le attività, il Governo non ha il coraggio e la forza di piegare le tendenze corporative ed egoistiche dei sindacati per salvare un anno scolastico già molto compromesso. Quanto al personale, da sempre si distribuisce  sulla curva più o meno regolare di Gauss: una quota “eroica”, un centro oscillante, una minoranza “lavativa”. La quota eroica – difficile da quantificarsi su circa 800 mila docenti – si è prodigata nella DaD,  raddoppiando di fatto le ore di impegno e di lavoro, a stipendio immutato.
In ogni caso, se gli alunni perderanno l’anno scolastico, è ai partiti di governo e ai sindacati che si deve imputare la responsabilità.

Ed è al Governo, alla Ministra dell’Istruzione e ai sindacati che gli studenti e i loro genitori, che campeggiano al freddo, computer alla mano, di fronte agli Istituti scolastici sbarrati, farebbero bene a chiedere se hanno davvero l’intenzione di salvare l’anno scolastico.

 

(Pubblicato da santalessandro.org, sabato 9 gennaio 2021)

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