di Vittorio Ferla
Nella guerra in Ucraina i fatti di questi giorni parlano chiaro. E dicono che lo spazio per le trattative di pace, ad oggi, non esiste. Ciò nonostante resiste un ampio partito della pace a tutti i costi che non soltanto continua a sperare nel cessate il fuoco – e ci mancherebbe altro – ma che soprattutto accusa l’Occidente – quindi i commentatori dei quotidiani, i paesi europei e, soprattutto, gli Stati Uniti – di cercare la guerra.
I fatti, scrivevamo, parlano chiaro.
Putin ha aggredito l’Ucraina senza nessuna ragione. Alla scusa dell’allargamento della Nato credono soltanto i nostri antiamerikani di destra e di sinistra. Viceversa, i paesi dell’est hanno scelto in autonomia di aderire all’alleanza atlantica preferendo al medioevo post-sovietico, post-zarista e pan-russo, la libertà, la democrazia e il benessere dell’Occidente. Tanto che, oggi, perfino Svezia e Finlandia, tradizionalmente neutrali, hanno deciso di aderire alla Nato.
Putin – è un altro fatto ormai assodato – ha scritto, programmato e propagandato il futuro dell’Ucraina. L’Ucraina non esiste, è soltanto un relitto geografico che va riassorbito dalla madre Russia a tutti i costi. L’obiettivo – scritto nero su bianco – è quello di “denazificare” – tradotto: “de-occidentalizzare” e “de-europeizzare” – il paese, cancellare la sua identità autonoma, distruggere la sua capacità produttiva e russificare la popolazione.
Altro fatto: è una guerra condotta contro i civili. Al Cremlino non importa semplicemente un cambio di governo (anche perché il piano di insediare un governo fantoccio a Kiev non è riuscito). Al Cremlino importa devastare ogni città e lasciare sul campo le sole macerie come è accaduto a Mariupol, massacrare la popolazione inerme come è avvenuto a Bucha, scatenare l’esodo di milioni di donne e bambini, mettere sotto tiro i cordoni umanitari, deportare migliaia di minori per rieducarli all’appartenenza russa, stuprare le donne ucraine per finalità di pulizia etnica.
È un fatto, infine, che tutto ciò sia stato concordato con largo anticipo da Cina e Russia, in occasione delle Olimpiadi di Pechino, e che i due paesi coltivino il progetto di costruire un nuovo ordine mondiale – che loro ovviamente ritengono più giusto – nel quale non vi sarà più spazio né per le carte internazionali dei diritti dell’uomo né per l’integrità e sovranità nazionali di quei paesi che ricadono sotto la loro nuova sfera di influenza.
Ovviamente, di fronte a questi fatti clamorosamente evidenti, la propaganda del Cremlino racconta sempre una verità alternativa. Che arriva fino al paradosso estremo di attribuire eccidi e devastazioni a coloro che li subiscono. Sarebbero, perciò, gli ucraini stessi a distruggere le loro città e a uccidere i loro connazionali pur di realizzare una messinscena capace di imputare ai russi innocenti la responsabilità dell’orrore che ogni giorno ci raggiunge da quella terra martoriata.
L’ultimo esempio di questa strategia sconvolgente – seminare l’orrore e poi cancellarlo, capovolgendo la realtà – è l’onorificenza di “Guardia” assegnata da Vladimir Putin alla 64ma brigata fucilieri motorizzati, responsabile del massacro di Bucha, per “l’eroismo di massa, coraggio e forza che è stato dimostrato dai militari durante le azioni belliche”. Non ce n’era bisogno, ma è l’ultima prova che la pace non è affatto nei piani del tiranno russo.
Viceversa, fin dall’inizio dell’invasione, il dibattito pubblico italiano è dominato da uno stuolo di personaggi circensi – direttori di quotidiani nazionali, professoresse di filosofia teoretica, sociologi del terrorismo, conduttori televisivi militanti, scrittori di montagna, presidenti di associazioni partigiane, commentatori con il sopracciglio inarcato, opinionisti con il ditino puntato e via elencando – impegnati a seminari dubbi, a dare pagelle di bellicismo a tutti meno che a Putin e a chiedere insistentemente la pace pur nell’assenza totale di condizioni sufficienti.
Questo fior fiore di opinion leader semina dubbi sulle effettive responsabilità del Cremlino, cercando sempre delle buone ragioni per cui Putin sarebbe giustificato a esercitare la sua ferocia. Accusa di bellicismo l’Italia, l’Unione europea e gli Stati Uniti, tutti soggetti che avrebbero volentieri fatto a meno di ritrovarsi impelagati in una guerra nel cuore dell’Europa e che ora – incredibile a dirsi – sono pur costretti a tutelarsi. Continua a pretendere a gran voce la pace come se questa dipendesse da altri e non da chi la guerra l’ha cominciata e la continua senza un briciolo di ripensamento: cioè il presidente russo Vladimir Putin.
Per procedere su questo sentiero, l’accozzaglia di pacifisti mannari adotta tutti i cliché tipici della propaganda del Cremlino. Mette in dubbio i fatti. Sospetta complotti. Accusa le lobby delle armi. Addita gli inconfessabili interessi degli amerikani. Disegna Zelensky come uno squallido attore nazistoide che vuole la rovina del suo popolo. Attacca le potenze demo-pluto-giudaico-massoniche. Tira per la tonaca perfino il Papa, che cerca di fare con grande fatica il suo mestiere di pacificatore alla ricerca di spiragli di dialogo con la chiesa russa ortodossa – guidata da quell’angioletto del patriarca Kirill – che oggi è posseduta da una furia panrussa, revanscista, discriminatoria e devastatrice.
Questa indefessa domanda di pace, insomma, è rivolta proprio a tutti. Tranne che all’uomo che ha cominciato la guerra e che non ha alcuna intenzione di interromperla (ne sanno qualcosa i telefoni di Draghi e di Macron). Ma, in questo modo, l’esercito italiota del pacifismo militante si trasforma di fatto in un unico enorme troll della propaganda russa in servizio permanente effettivo sulle televisioni italiane. Come gli hacker e i fake russi che hanno inquinato l’infosfera occidentale in questi anni (pensiamo al ruolo svolto nelle elezioni americane a vantaggio di Trump, nel referendum britannico a favore della Brexit, nel referendum costituzionale italiano del 2016 contro Renzi, alle elezioni italiane in favore di Lega e M5s), i pacifisti mannari usano il caos e la disinformazione per capovolgere il principio di realtà e l’evidenza dei fatti. Costruiscono una verità parallela per suggerire un’alternativa che non c’è. Impostano una teoria del complotto per giustificare – da destra o da sinistra – l’eterno ritorno dell’odio contro l’Occidente immorale e capitalista.
Assodata l’impermeabilità alla pace di Vladimir Putin, lo sbocco di tutta questa tiritera è solo uno: la resa incondizionata dell’Ucraina, presentata ovviamente come un atto di umanità nei confronti della popolazione. Che – ma guarda un po’ – non pare proprio bendisposta a consegnarsi alle torture e al sadismo dei russi. Ma una pace senza giustizia è solo schiavitù e sottomissione. Come scriveva Tacito: “dove fanno il deserto, lo chiamano pace”.
Giornalista, direttore di Libertà Eguale e della Fondazione PER. Collaboratore de ‘Linkiesta’ e de ‘Il Riformista’, si è occupato di comunicazione e media relations presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio. Direttore responsabile di Labsus, è stato componente della Direzione nazionale di Cittadinanzattiva dal 2000 al 2016 e, precedentemente, vicepresidente nazionale della Fuci. Ha collaborato con Cristiano sociali news, L’Unità, Il Sole 24 Ore, Europa, Critica Liberale e Democratica. Ha curato il volume “Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa” (Rubbettino 2018).