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Come potrebbe cambiare la politica estera americana

Alessandro Maran lunedì 4 Novembre 2024
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di Alessandro Maran

 

In che modo l’esito delle elezioni influenzerà la politica estera degli Stati Uniti? Alcune cose probabilmente rimarranno costanti, indipendentemente da chi vincerà le elezioni presidenziali statunitensi di martedì, scrivono i redattori della World Politics Review. “Queste tendenze includono un ridimensionamento della globalizzazione, come chiaramente dimostrato dal crescente protezionismo commerciale e dalle misure più severe che limitano l’immigrazione”, scrivono. La politica estera degli Stati Uniti “è anche sempre più definita dalla competizione geopolitica, principalmente con la Cina, ma anche con il suo “asse” autocratico che comprende Russia, Iran e Corea del Nord” (https://www.worldpoliticsreview.com/us-election-foreign…/).
Donald Trump e Kamala Harris restano, tuttavia, molto diversi per molti aspetti. Potrebbero gestire problemi simili in modi simili, ma con obiettivi completamente diversi in mente. I redattori della WPR fanno notare che Trump e Harris potrebbero entrambi perseguire politiche commerciali protezionistiche, ma Trump le vede come parte di un programma isolazionista più ampio, mentre Harris probabilmente le vede come soluzioni temporanee. Harris rappresenterebbe una continuazione del “realismo pragmatico” del presidente Joe Biden e del suo sostegno alla democrazia globale e ai diritti umani mentre il meno prevedibile Trump renderebbe la democrazia all’estero una questione irrilevante, “a non-issue”.
Seconda la redazione del Financial Times, “Trump è ostile alla Nato e amichevole con il russo Vladimir Putin. La sua costante ammirazione per l’uomo forte del Cremlino fa presagire un brutto momento per l’Ucraina (…) L’effetto di Trump sulla Cina è meno prevedibile. Potrebbe, altrettanto probabilmente, concludere un accordo con Xi Jinping o puntare al completo disaccoppiamento tra Stati Uniti e Cina. L’unica certezza sull’approccio di Trump all’Indo-Pacifico è la sua allergia alle alleanze (…) Nazioni di tutte le dimensioni potrebbero (…) abbandonare la speranza di un ulteriore coinvolgimento degli Stati Uniti nell’azione collettiva contro il riscaldamento globale (…) In contrasto con i rivolgimenti promessi da Trump, Harris rappresenta il business as usual (…) Il passaggio alle energie rinnovabili, un punto centrale della sua agenda, sarebbe un servizio all’America e al mondo” (https://www.ft.com/…/3db1db35-f536-4efc-b463-a1fc98a785b0).
Cosa potrebbero comportare le elezioni americane per l’Europa? Generalmente, l’Europa occidentale non è una fan di Trump. “Visto dall’Europa (…) lo ‘stile digressivo’ del candidato repubblicano non è solo confuso, è completamente fuori di testa”, lamentava l’altro giorno Sylvie Kauffmann su Le Monde (https://www.lemonde.fr/…/seen-from-europe-trump-s…).
C’è ragione di credere che alcune parti dell’Europa orientale abbiano una visione più favorevole di Trump rispetto all’Europa occidentale (ad eccezione, ovviamente, dei paesi fortemente preoccupati per l’aggressione russa e la guerra in Ucraina). La destra americana trumpista si è accalorata per il primo ministro ungherese Viktor Orbán, per esempio. Tuttavia, Joerg Forbrig e Daniel Hegedüs hanno scritto per il German Marshall Fund (prima che Harris diventasse la portabandiera dei democratici) che la frattura tra Washington e l’Europa occidentale durante il primo mandato di Trump ha messo sotto pressione alcuni paesi dell’Europa orientale, ponendoli di fronte alla scelta tra gli Stati Uniti e l’UE. Tale pressione potrebbe tornare se Trump dovesse vincere (https://www.gmfus.org/…/why-us-presidential-election…).
Harris rappresenta la continuità con Biden e il tradizionale approccio transatlantico (e il costante sostegno all’Ucraina). Trump ha promesso di porre fine a quella guerra rapidamente e alcuni temono un accordo sbilanciato favorevole alla Russia. Steven Erlanger, chief diplomatic correspondent del New York Times in Europa, ha detto a Natasha Frost e Justin Porter: “Il problema più grande è la sicurezza nazionale, che per l’Europa significa, davvero, l’Ucraina e la NATO. Le due sono collegate. C’è ansia per Trump, perché, su molte questioni, è saldo retoricamente, ma in realtà imprevedibile. Pensa che la NATO sia un club a cui i membri devono pagare le quote, e nessuno sta pagando abbastanza, e l’America è il fesso di turno. Alcuni temono che se Trump, ad esempio, inizia a dire che non crede nella NATO, o non difenderà un membro che non sta spendendo abbastanza per la difesa, indebolirà la credibilità della NATO e la fiducia nell’articolo 5. Ciò sfocia nella successiva vera preoccupazione, che è l’Ucraina. Se l’Ucraina cade, la Russia è al confine con la Polonia” (https://www.nytimes.com/…/us-election-north-korea…). Alcuni in Ucraina stanno facendo il tifo per Harris proprio per questo motivo, scrive James Waterhouse della BBC (https://www.bbc.com/news/articles/cr5m6d6l7e2o).

All’EU Institute for Security Studies – EUISS, Giuseppe Spatafora e Christian Dietrich forniscono un’utile mappa interattiva che descrive in dettaglio le potenziali implicazioni delle elezioni statunitensi su vari punti caldi e questioni europee (👇). Sulla sicurezza e la NATO, scrivono: “Le posizioni dei due candidati sulla difesa europea sono quasi diametralmente opposte. Trump ha ripetutamente minacciato di ritirarsi dalla NATO e di non difendere gli alleati che non spendono abbastanza per la difesa. Una seconda amministrazione Trump potrebbe perseguire una politica di ‘Dormant NATO’. Harris, d’altro canto, ha riaffermato il sostegno americano agli alleati europei. Tuttavia, Biden è stato l’ultimo presidente statunitense ‘atlantista’ e lo spostamento delle risorse verso l’Indo-Pacifico è probabile che continui. Pertanto, indipendentemente da chi vincerà a novembre, potremmo assistere a un calo degli impegni statunitensi, anche se lo spostamento sarebbe più drastico con un secondo mandato di Trump” (https://www.iss.europa.eu/…/us-elections-what-choices…).

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