di Antonio Preiti
Tutti sono alla ricerca del centro. E lo cercano con un cambiamento di tono, di linguaggio e qualche aggiustamento di programma. È così che si conquista il centro? Sì, forse anche così, ma basta? E cos’è oggi il “centro” nella vita del paese? Per altro, lo stesso Pd, in anni non remoti, alle elezioni del 2014, inglobava tanto centro, altrimenti il 40,8 % sarebbe stato impensabile. Quindi, potremmo dire, che il Pd ha perso il centro. E qual è il centro che ha perso? Vediamo di capirlo.
Che cos’è il centro in Italia?
Il centro in Italia non è mai stato piccoli assestamenti di lato, o geometria politica, il centro è sempre stato un’identità, uno spessore culturale, un’ideologia quasi, ma mai geometria. La Democrazia Cristiana era il centro, non perché equidistante da destra e sinistra, equidistanza mai vista, semmai era “la DC al centro, che guarda a sinistra” (Aldo Moro), ma per la scelta occidentale, l’economia d’impresa e la dottrina sociale cattolica. Altro che geometria.
Forse è necessario semplificare in maniera brutale la questione del centro: centro è dove si raccoglie la maggioranza degli italiani, o meglio la maggioranza delle idee, dei pensieri ricorrenti e prevalenti nella popolazione italiana.
Con un sistema proporzionale un partito di centro tende a conquistare il senso comune che prevale sulle questioni più dirimenti nella società in quel momento della sua storia (o della sua cronaca, che è lo stesso: esiste solo la cronaca, la storia si fa poi…). In un sistema bipolare ciascuno dei gruppi vince se conquista la porzione maggiore di centro: così ha fatto Berlusconi, così ha fatto Prodi, entrambi vincenti perché hanno conquistato la quota maggioritaria del centro.
Dai partiti tradizionali ai partiti populisti
È evidente che questo “centro”, cioè gli elettori delle idee prevalenti nella popolazione, in cinque anni è passato da sinistra a destra, o meglio dai partiti tradizionali a quelli populisti.
Un dato chiarirà bene la questione: nelle ultime europee i partiti d’ispirazione populista (per loro stessa ammissione), cioè Lega, Cinquestelle e Fratelli d’Italia hanno raggiunto il 57,8%, perciò è evidente che abbiano conquistato il centro, nel senso prima detto. Cinque anni prima avevano il 31% e da solo il PD aveva il 40,8%, se poi aggiungiamo Forza Italia (in quanto partito di centro) si arriva al 57% esattamente quello che i populisti hanno ottenuto cinque anni più tardi.
È evidente che il centro, sempre come prima definito, come contenuti e non come geometria, per quantità era più nel PD che in Forza Italia, se consideriamo che la componente strettamente di sinistra interna al PD, non supera tendenzialmente il 20-25%.
Perciò il centro non è geometria, superficie, orizzontalità, ma è radicamento nella società, verticalità, profondità nel rispecchiare i valori prevalenti nella maggioranza della popolazione. E oggi che identità ha il centro? La questione di cui, a torto o a ragione, parla la maggioranza della popolazione è ancora la questione dell’immigrazione e, più a torto che a ragione, vi si legano una marea di altri temi, dalla criminalità all’identità stessa del Paese e, last but non least, la questione cattolica, ritornata d’attualità.
La questione immigrazione
Vediamo qualche dato (chi li volesse, li trova tutti su www.pewresearch.com). Alla domanda, fatta ai residenti nei 18 paesi più importanti dell’Occidente, se l’immigrazione vada vista come un peso o come un’opportunità, 54 italiani su 100 la vede come un peso e solo 15 come un’opportunità. Quello che è ancora più significativo è che tra coloro che si auto-collocano a sinistra, i sostenitori dell’immigrazione come opportunità sono il doppio della media, cioè il 30%, ma neppure lì sono la maggioranza. Tra quanti si dichiarano di centro la percentuale è nella media (12) e tra quanti si dichiarano di destra, la percentuale è più bassa (9).
Altra domanda, questa volta centrata sulla questione dell’integrazione degli immigrati: richiesti di dire se, a loro parere, gli immigrati tendenzialmente vogliono o non vogliono integrarsi, cioè aderire al modo di vivere italiano (italian way of life), il 61% degli Italiani sostiene che vogliono distinguersi e non integrarsi, e solo il 10 % sostiene che vogliano integrarsi.
Vediamo adesso il rapporto con il crimine. Per il 44% degli Italiani c’è una responsabilità specifica dell’immigrazione nella sua diffusione, mentre il 27% è di parere contrario. Se aggiungiamo che il 50% della popolazione è favorevole a riportare forzatamente gli immigranti nei loro paesi di origine, il quadro è chiaro.
La questione dell’identità
Scaviamo ancora, e vediamo come la questione dell’immigrazione sia collegata alla questione dell’identità del Paese: il 75% degli Italiani ritiene che per essere definiti davvero italiani bisogna che la famiglia d’origine sia italiana (family background). E questa percentuale sale addirittura all’81% fra quanti si dichiarano cattolici e l’80% degli Italiani si dichiara cattolico. E se il 53% degli Italiani pensa che l’islam sia incompatibile con i valori occidentali, tra i cattolici si arriva al 63%; e se il 27% degli Italiani si sente “come uno straniero a casa propria a causa del numero dei musulmani”, fra i cattolici si arriva al 35%.
Continuando sulla questione identitaria, di fronte all’affermazione “la nostra gente non è perfetta, ma la nostra cultura è superiore a quella degli altri”, i cattolici la condividono con il 21% in più della media generale e per scendere sotto la media (ma mica tanto, solo del 6%) bisogna considerare le persone well educated, cioè i laureati.
Basta dati, perché ci dicono a sufficienza che oggi nel nostro Paese il “centro”, cioè le idee prevalenti nella maggioranza del Paese, sono distanti dall’offerta politica di sinistra, ma non lo erano cinque anni fa.
Come riconquistare il centro perduto?
Quindi la domanda cruciale è: come la sinistra (in senso lato, considerando perciò le varie formazioni politiche di oggi) può riconquistare il centro che in cinque anni ha perduto? Chi riesce a smontare il compact (immigrazione-criminalità-perdita dell’identità e il suo viceversa meno immigrati-meno criminalità-più identità) sul quale oggi si aggrega la maggioranza dei pensieri ricorrenti della popolazione?
Il “centro” non va cercato nel vertice della piramide sociale (che di solito è respingente), ma nella base della società (quella che, en passant, porta più voti); non va cercato negli endorsement delle celebrities (se pure ne meritassero l’appellativo) ma nelle paure, nelle confusioni e nelle false verità dei più umili; non va cercato nella grande indignazione dei testimonials, ma nella dignità di chi silenziosamente fa il suo lavoro e combatte la sua piccola battaglia per vivere un po’ meglio.
Non va cercato tra gli Anywheres, cioè i colti, con grandi capacità cognitive, multiculturali, che vivono bene in una società aperta e competitiva, ma tra i Somewheres, le persone che non hanno possibilità di cambiare quartiere, città o nazione; o cambiare lavoro, perché al massimo riescono a conservare quello che hanno, e perciò sono legati visceralmente ai luoghi dove vivono, e non li vogliono veder peggiorare; e li vedono peggiorare ogni giorno. Non c’è bisogno di leggere Heidegger per capirlo.
Le parole di Obama agli estremisti
“Le persone che combattete adorano i loro figli e forse condividono con voi tante cose. Il mondo è un casino (messy). Il mondo è pieno di ambiguità. Le persone che fanno cose buone hanno anche dei difetti.” Sono le parole di Obama rivolte agli estremisti (e ad alcuni candidati alle primarie) del suo partito, tutti alla ricerca della “purezza”. Questo “centro” (che è anche il baricentro della società), aspetta una proposta politica credibile, non un auto-celebrazione; qualcosa che superi, temperi, attutisca gli effetti dell’automazione e della globalizzazione (così com’è nel vissuto della società, non come s’immagina che sia mentre sventolano le bandiere); e proporre qualcosa di molto ragionevole sul governo dell’immigrazione, come, ad esempio, bilanciare ius soli (o culturae) con un blocco delle immigrazioni illegali.
La ricerca delle soluzioni a questi problemi stabilirà perciò stesso una connessione sentimentale con la società e magicamente sembrerà chiaro dove sia il centro, altro che “lanciare pietre giudicanti verso gli altri” (sempre Obama).
(Pubblicato su Linkiesta.it il 25 novembre 2019)
Economista, docente all’Università di Firenze. È cresciuto al Censis, ha insegnato alla Luiss Management, Università di Bolzano, ha diretto l’Agenzia del turismo di Firenze, ha lavorato per Banca Imi e altre imprese. Ha ricoperto la carica di Consigliere d’Amministrazione di Enit e Vice Presidente di ETC (European Travel Commission). Collaboratore del Corriere della Sera. Svolge professionalmente studi e ricerche per Sociometrica, di cui è Direttore. Twitter @apreiti web www.antoniopreiti.it