di Alessandro Maran
Per spiegare ai lettori il pasticcio della Brexit, la settimana scorsa The Interpreter, la rubrica di approfondimento del New York Times curata da Max Fisher e Amanda Taub, ha raccontato l’incredibile storia delle elezioni di Fall River, una cittadina del Massachusetts.
L’incredibile storia di Jasiel Correia
La saga di Fall River è cominciata in ottobre, quando il sindaco Jasiel Correia, un giovane di 26 anni, è stato arrestato con l’accusa di aver frodato gli investitori e falsificato la dichiarazione dei redditi.
Secondo gli inquirenti, dopo aver ricevuto il capitale necessario per realizzare una app per il marketing digitale chiamata SnoOwl, avrebbe speso il denaro degli investitori per sostenere «uno stile di vita sontuoso» (che comprendeva gioielli, abiti firmati, una Mercedes) e per finanziare la sua (riuscita) campagna elettorale. Correia ha contestato le accuse e ha rifiutato di dimettersi. Così un gruppo di cittadini di Fall River ha raccolto le firme per proporre una recall election (una procedura di revoca, in vigore in diversi stati degli Usa, con la quale gli elettori possono rimuovere un eletto attraverso una votazione diretta, prima che il suo mandato elettorale sia terminato) che si è tenuta il 12 marzo scorso.
Nella recall election Correia ha preso una sonora tranvata. Circa il 61% degli elettori ha votato per rimuoverlo dall’incarico. Solo 4911 persone, vale a dire il 38% dei votanti, hanno scelto di confermarlo al suo posto. Il corpo elettorale si è espresso con chiarezza.
Ma c’è stato un colpo di scena. Di domande la scheda ne conteneva due: se revocare Correia (la prima) e con chi rimpiazzarlo (la seconda). Per la corsa a sindaco erano in gara cinque candidati. E Correia era uno di questi. Per ripresentarsi nel bel mezzo di un recall (accusato, per giunta, di reati «federali»), ci vuole faccia tosta.
Ma Correia aveva visto giusto. Infatti, nella competizione per la poltrona di sindaco ha ricevuto 4808 voti, quasi lo stesso esatto numero di voti che ha preso nel recall. Tuttavia, gli altri quatto candidati si sono distribuiti i voti rimanenti. E il 38% a suo favore è stato sufficiente a garantirgli l’elezione. Insomma, la stessa votazione che ha rimosso Correia con un margine di quasi due voti contro uno lo ha anche reinsediato nell’incarico.
La democrazia: un sistema assurdo? Il caso Brexit
A volte, la democrazia, confessano guardinghi Max Fisher e Amanda Taub, può rivelarsi un sistema assurdo. Il che ci riporta alla Brexit.
Buona parte delle incongruenze nelle votazioni di queste settimane su come e quando lasciare l’Unione europea si spiegano con il fatto che l’azione di governo inglese è il prodotto di due diverse elezioni che hanno partorito due risultati diversi. Come a Fall River.
Il referendum del 2016, la prima di queste elezioni, che ha chiesto agli inglesi se il Regno Unito dovesse lasciare l’Unione europea, ha registrato una maggioranza risicata di elettori che ha scelto di divorziare e una fortissima minoranza che ha scelto di rimanere in Europa.
La seconda, le elezioni politiche del 2017, ha appannato quel mandato e approfondito le divisioni sul tipo di Brexit da raggiungere. I Conservatori hanno perso diversi seggi e la cosa ha distrutto l’idea che il partito avesse il mandato di sostenere i piani del suo leader, Theresa May. Il Labour ha guadagnato dei seggi ma non ha conquistato la maggioranza e non ha una posizione chiara sulla Brexit.
Così i legislatori inglesi ritengono di avere, in base alle indicazioni degli elettori che si sono espressi nel referendum del 2016, il mandato di portare a compimento la Brexit, ma il voto del 2017 ha reso i conservatori troppo deboli e divisi per poterlo fare veramente, perché non c’è un chiaro mandato per attuare un progetto concreto o per sostenere (o respingere) la leadership del primo ministro. I nodi sono venuti al pettine nelle votazioni in Parlamento.
Dato che gli elettori, nelle elezioni politiche del 2017, non hanno espresso una chiara maggioranza a favore di nessun progetto concreto, i parlamentari inglesi non sono in grado di mettere insieme una chiara maggioranza per nessun progetto concreto. Quando è stato messo ai voti, il piano di Theresa May è stato bocciato con un margine enorme. Il «no-deal», il divorzio senza un accordo con l’Unione europea, l’opzione prediletta dall’ala più intransigente, è fallito anche quello. E non c’è una maggioranza in grado di far passare altre ipotesi, come quella di un nuovo referendum, o in grado, semplicemente, di revocare la Brexit.
L’azione di governo: una scienza imperfetta
Catturare il sentire dell’opinione pubblica e tradurlo in azione di governo è una scienza imperfetta, piena di complicazioni.
E il modo nel quale si concepisce un’elezione può determinarne il risultato tanto quanto le scelte concrete degli elettori, e a volte di più (in Italia, tanto per capirci, le alleanze, a livello locale, sono coese e credibili proprio perché sono organizzate attorno alla leadership; ma c’è l’elezione diretta e, con il sindaco, i cittadini scelgono un leader e la sua maggioranza).
È per questo che la prima parte del voto di Fall River si è tradotta nel chiaro messaggio popolare che Correia doveva andarsene e la seconda parte ha detto quasi altrettanto chiaramente che doveva restare.
La democrazia funziona sulla base dell’idea che i risultati elettorali riflettono la volontà popolare e perciò devono essere rispettati. Ma come mostra la vicenda di Fall River, per alcuni versi, si tratta di un mito. Le elezioni testano unicamente quel che si programma debbano testare. E più complessa è la domanda e meno rigorosa e sicura (e dunque meno fondata) è la verifica dell’opinione pubblica.
La democrazia: una questione complessa
Fall River voleva chiedere agli elettori: «Volete rimuovere Correia e, se è così, con chi vorreste rimpiazzarlo?». Ma ne è uscita una domanda troppo complicata. Il risultato, il ritorno di Correia al suo incarico, ovviamente non riflette i desideri dell’opinione pubblica, poiché la maggioranza degli elettori ha votato per rimuoverlo.
La Gran Bretagna, dal canto suo, ha cercato una risposta ad una domanda di gran lunga più complessa: «Volete lasciare l’Unione europea e, se è così, con quali scadenze e quali termini?».
Il referendum del 2016 ha raggruppato sotto un’unica bandiera, quella del «leave», tutte le innumerevoli ipotesi, molto diverse tra loro, sulla Brexit (soft Brexit, hard Brexit, Brexit sul modello Norvegia, sul modello del Canada, Brexit solo ad alcune condizioni, ecc.).
Non c’è consenso su nessun tipo di Brexit
Una «accozzaglia», diremmo dalle nostre parti, in ricordo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Col risultato che l’opzione più popolare, quella di rimanere nell’Unione europea, ha perso di un soffio. Così come Correia ha perso il recall nonostante rimanga, come si è visto, il candidato più popolare. Le elezioni del 2017 sono state interpretate poi da entrambi i principali partiti come un’occasione per verificare se gli elettori erano d’accordo con il piano di Theresa May di realizzare una soft Brexit e con la sua gestione dei negoziati. Ma il risultato ha detto che Theresa May non aveva quel consenso che sperava di ottenere.
«In un mondo in cui si è consapevoli che le elezioni possono essere dei test arbitrari e imperfetti dell’orientamento dell’opinione pubblica – concludono Max Fisher e Amanda Taub -, si potrebbe analizzare le due votazioni e concludere che non c’è un consenso maggioritario per nessun tipo di Brexit. E che l’opzione più popolare (che del resto i sondaggi confermano) è quella di rimanere nell’Unione europea. Ma non è questo il mondo in cui viviamo.
Il mito del voto
Nel nostro mondo, il mito delle elezioni racconta che si tratta dell’espressione, perfetta e infallibile, della volontà popolare e che, dunque, bisogna rispettarne i risultati. In Gran Bretagna, quel mito ha come conseguenza che i legislatori cercano di attenersi ad un mandato popolare che non esiste veramente, e poiché non esiste, il Parlamento non ha i voti necessari per realizzare nessun obiettivo concreto. Così il Parlamento è bloccato e, incapace di approvare una cosa qualsiasi, sta andando alla deriva verso una no-deal Brexit, che è al tempo stesso la scelta meno popolare e quella che si prevede possa devastare l’economia britannica».
Per restare fedeli ad un mito, il prezzo da pagare è molto salato.
Già senatore del Partito democratico, membro della Commissione Esteri e della Commissione Politiche Ue, fa parte della presidenza di Libertàeguale. Parlamentare dal 2001 al 2018, è stato segretario regionale dei Ds del Friuli Venezia Giulia.